Per il suo settimo lungometraggio, l’alfiere dell’action cinese Ding Sheng – Underdog knight (2008), Police Story: Lockdown (2013) – salda una volta per tutte il suo debito con il cinema di Hong Kong realizzando il remake del classico intramontabile del 1986 A better tomorrow, mettendoci molto del suo ma restando schiacciato dalla riverenza nei confronti di Woo.
Il contrabbandiere Zhou Kai – Wang Kai – gestisce per conto del boss Ha – Suet Lam – la tratta che dal Giappone porta fino in Cina. Incastrato dal figlioccio di Ha, Kai finisce in galera per tre anni scatenando le ire del fratello minore Chao – Ray Ma –, da poco entrato in polizia e all’oscuro della sua attività criminale. Nel frattempo, il compagno di scorribande di Kai, Ma Ke – Darren Wang –, viene ferito irrimediabilmente alle gambe nel corso di una missione. Uscito di prigione, Kai si lascerà convincere dall’amico a portare a termine la loro vendetta.
Secondo remake ufficiale del primo capitolo della trilogia ideata da John Woo e Tsui Hark, A better tomorrow 2018 è più fedele alla trama originale rispetto all’omologo coreano del 2010 diretto da Song Hae-sung – che anzi partiva da presupposti prettamente autoctoni come le conseguenze della divisione tra Nord e Sud – e cambia soltanto il palcoscenico: la storia si svolge tra il porto di Qingdao nello Shandong – la città di origine del regista – e il Giappone, teatro del tradimento che porta Kai dietro le sbarre.
Come dichiarato dallo stesso Ding in apertura, la sua riscrittura del film – peraltro non facile, viste le maglie della censura continentale più strette rispetto alla realtà produttiva di Hong Kong – voleva mettere in luce l’aspetto umano e fallace dei protagonisti piuttosto che la loro statura eroica, producendo un risultato più in linea con la percezione contemporanea del concetto di eroe. Ma a parte una caratterizzazione più sobria, il regista sembra quasi temere di allontanarsi dalla strada maestra: ecco quindi che a ristabilire l’ordine vengono inseriti continui richiami al film dell’86, alcuni riusciti – l’avventore del bar che tiene sempre un cerino imbocca a scimmiottare Chow Yun Fat –, altri troppo reiterati – l’onnipresente main theme.
Al contrario, le sparatorie così abbondanti ed esagerate di Woo sono rimpiazzate da un numero più esiguo di scontri a fuoco, in cui il frequente impiego della camera a mano, combinato a un montaggio che sottrae troppo, non regala un’esperienza paragonabile alla tradizione cinematografica di riferimento. A better tomorrow 2018 è privo delle sfumature noir del suo progenitore e tratteggia un universo gangster fin troppo raffinato e pulito, il che si collega in parte alla scelta di ambientare una sezione della vicenda nell’ordinatissimo Giappone piuttosto che a Taiwan.
Nonostante queste mancanze, l’ultima fatica di Ding è un film che comunque funziona e si inserisce – anche se non proprio a pieno titolo – nella saga. Troppo affezionato e legato in termini di ammirazione all’opera di Woo, è come se il regista avesse omesso di dire qualcosa per una questione di rispetto.