“Cemetery of splendour” di Apichatpong Weerasethakul

Materia e spirito del tempo

Già vincitore della Palma d’oro con Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, del Premio della Giuria con Tropical malady e del premio della sezione Un certain regard con Blissfully yours, Apichatpong Weerasethakul, presenta all’edizione 2015 del Festival di Cannes anche questo suo ultimo film.

Una vecchia scuola di un paese rurale della Thailandia ora abbandonata è stata adibita a ospedale improvvisato per ospitare alcuni soldati colpiti da una misteriosa malattia del sonno, una sorta di narcolessia molto aggressiva. La casalinga Jenjira offre il proprio aiuto e prende particolarmente a cuore Itt, soldato semplice che nessun parente o amico viene ad assistere. Dopo essere accidentalmente entrata in possesso dello strano diario di quest’ultimo, e aver stretto un legame con la medium Keng, che sostiene di poter mettere in contatto i parenti con gli ammalati, Jenjira inizierà a interrogarsi sulle cause del morbo, in una ricerca a metà fra l’onirismo mistico e il materialismo radicale.

Lungi dall’essere, come potrebbe sembrare dal nostro riassunto, un thriller sovrannaturale, Cemetery of splendour è invece una riflessione sul tempo, in cui la trama, come in tutto il cinema di Weerasethakul, diventa puramente accessoria, per lasciare il posto a un cinema essenziale fatto di immagine pura. Proprio l’essenziale è la meta verso cui il regista conduce lo spettatore, per far sì che egli riesca a vedere il pensiero che si cela sotto la materia. Per il thailandese il pensiero infatti è un elemento che transita all’interno e tra i corpi, avendo quindi una certa autonomia rispetto a questi, perché il pensiero è ciò che unisce la materia, e quindi anche le persone. Per questo vediamo fondersi in Cemetery of splendour due polarità opposte come lo spiritualismo e il materialismo. Per Weerasethakul le vite passate hanno influenza su quelle presenti e c’è un mondo oltre quello materiale, ma al contempo il film vive (ricordando il particolar modo Syndromes and a Century) di un’ossessione per il corpo, la medicina, i fluidi corporei, in breve per tutto ciò che è naturale e illustra l’essenza materiale e puramente contingente del mondo. Nell’universo creato dal regista alla comunicazione tra medium e spirito può seguire una tranquilla conversazione sul dating online del paese rispetto a quello delle nazioni confinanti. La forma più pura spiritualmente parlando (ovvero l’oltrepassare il limite della vita presente) convive e anzi si manifesta grazie alla presenza di un corpo malato che ha oltrepassato a sua volta i propri limiti (perché la medicina non è in grado di agire su di esso) e viceversa la meditazione per raggiungere il proprio io interiore non prescinde dalla consapevolezza che il pensiero, nonostante le caratteristiche sopra riportate, sia in primo luogo un processo chimico.

Questi sono gli elementi di una riflessione sul tempo in generale e sul tempo del cinema. Per prima cosa la concezione dominante viene ribaltata: è la materia che è eterna, non l’elemento spirituale, che invece è effimero. Il pensiero si veicola attraverso il mezzo materiale ma grazie a esso vive. Lo spirito senza la materia non esiste mentre la seconda acquisisce senso solo grazie al primo; non c’è subordinazione nel rapporto. Ma spostandosi sul concreto, il punto centrale del film è come questo dualismo possa rientrare in una rappresentazione attraverso il mezzo cinema, come possa essere inserito all’interno di un quadro per più di due ore. È veramente possibile guardare la natura e mostrarne l’essenza senza incappare nel sentimentalismo ed evitando la risposta di un mondo altro rispetto a questo? Weerasethakul ci riesce, con un approccio di regia e fotografia lineare perché totalmente al servizio del soggetto, filmando la materia (quando essa non è inerte) nelle sue varie stratificazioni. Sulla scuola abbandonata viene costruito un ospedale, e in questo ospedale Itt ha il letto dove Jenjira aveva il proprio banco; il tutto si erge su un antico campo di battaglia: la materia è eterna e lo spirito la attraversa, facendo degli opposti e delle contraddizioni un’armonia. Il cinema dunque è capace di andare oltre la materia grazie alla sua alterità rispetto alla realtà, perché esso stesso è il fantasma che Weerasethakul ha filmato in tutte le sue opere: il cinema quindi non è nel tempo ma il tempo è nel (e del) cinema.

In conclusione, Cemetery of splendour è senza ombra di dubbio un film difficile e complesso, che radicalizza il percorso dell’autore thailandese verso la pura contemplatività, e che quindi si realizza soltanto nel momento stesso della visione, lasciando all’elemento visivo ogni significato che se espresso a parole risulterebbe eccessivamente teorico e patetico (è questo il vero potere del cinema?), però è forse il manifesto più pregno e significativo dell’opera del regista, e, anche se non il più importante per il suo percorso artistico, decisamente il suo capolavoro: mai in un suo film s’era vista una scena come il finale di Cemetery of splendour, che realizza una vera e propria sovrapposizione tra corpo e spirito.

Titolo originale: Rak ti Khon Kaen
Nazione: Tailandia
Anno: 2015
Genere: Drammatico, Fantastico
Durata: 122′
Regia: Apichatpong Weerasethakul

Cast: Jenjira Pongpas, Banlop Lomnoi, Jarinpattra Rueangram

Data di uscita: Cannes 2015