“Chris era un uomo onesto e intelligente, forse più onesto che intelligente”. Così riferisce un ex-collega del reporter alla regista Anja Kofmel. Il cugino, assassinato nel 1992 durante il conflitto serbo-croato, è il protagonista (così come in un corto del 2009) dell’opera prima dell’animatrice svizzera: Chris the Swiss.

Chris era un giornalista coraggioso che sin da giovanissimo aveva raccontato negli anni ottanta le lotte sudafricane e namibiane. Giunto poi in Iugoslavia, la guerra, i drammi, le violenze lo inducono ad una radicale trasformazione. Aderisce ad un’organizzazione paramilitare filo-indipendentista, fascista ed ultra-tradizionalista. Quando si accorge dell’errore commesso e riacquista razionalità è già troppo tardi. L’imprevidente tentativo, infatti, gli costa la vita.

Il film, frutto di una complessa lavorazione settennale, è stato selezionato a Cannes 71 (Semaine de la Critique) assieme all’italiano La strada dei Samuoni di Stefano Savona (Quinzane des Realisateurs) con cui condivide una caratteristica fondamentale. Entrambi i lungometraggi, per l’appunto, sono documentari che dinanzi all’ineffabile si affidano all’animazione in b/n. Le registrazioni, le fotografie, i report e le interviste (offerte da giornalisti, parenti e criminali di guerra) tratteggiano solo parzialmente l’anomala parabola di Chris. Quindi le animazioni, meno originali di quelle di Savona ma dall’illusionismo onirico magrittiano, sono necessarie: sono sogni, fantasie, creative interpretazioni del mistero.

La pretesa esegetica oscura però la linearità descrittiva, cadendo altre volte nello scolastico.L’opera rimane tra gli eventi svizzeri più stuccanti del 2018 che ci rivela un cinema dalle potenzialità significative.

Recensione di Andrea Viggiano


Realizzato alternando stranianti animazioni in bianco e nero e la cruda realtà a colori recuperati attraverso un’indagine documentaria; Chris the swiss penetra nel cuore delle persone con una storia che mette a nudo le incoerenze della guerra. La regista, Anja Kofmel alla sua opera prima, decide di compiere un viaggio alla ricerca delle motivazioni che hanno portato suo cugino Chris “the swiss” (lo svizzero) a arruolarsi nella guerra civile nei balcani nel ‘92, scelta che gli causò la morte. Partendo dai diari e dagli appunti che gli sono sopravvissuti, prende corpo il disegno di un giovane pronto a morire per i propri ideali. Affrontando una dopo l’altra le tappe antecedenti la morte di Chriss, Anja restituisce forma a una vita spezzata troppo presto, attraverso la voce di chi l’aveva conosciuto in guerra ed era stato toccato dalla forza di volontà del ragazzo.

Sviluppato dal cortometraggio Chirigi (2009), Chris the swiss ha avuto una lungo periodo di lavorazione, condizionato dalla grandezza di una produzione che comprendeva Svizzera, Germania, Croazia e Finlandia, e dalla difficile situazione politica nei Balcani, ostili a lasciare emergere immagini di una guerra passata.

Il difficile stile vede convivere immagini di reportage con interviste a giornalisti e mercenari di guerra, found-footage di immagini televisive in 4:3 e spezzoni realizzati con animazione in bianco e nero. Nonostante questa alternanza la narrazione fluisce sensibilmente attraverso il montaggio, riunendosi alla perfezione nell’unica grande storia di ricerca di una spiegazione per la morte di una persona cara. Merita una nota in più la qualità dell’animazione, frutto dei bozzetti realizzati dalla regista, che da un segno visibile alle immagini della vita di Chris. A metà tra il racconto fedele del diario del ragazzo e l’immaginazione della sua lettrice, l’animazione sfrutta l’influenza di altri film del recente passato come Persepolis e Valzer con bashir, appropriandosene e dando uno scopo all’immagine in bianco e nero. Una potenza visiva che avvolge fino a strangolare, riproducendo fantasie e demoni di chi la guerra la sta affrontando sul campo.

Alla fine della storia, una ricerca che non poteva fornire spiegazioni perché bruciate nel tempo, rimane un terribile parallelo tra le generazioni passate e quelle moderne. Giovani che inneggiano ai demoni del passato come eroi delle favole, ripetendo errori che segneranno per sempre la loro vita. Un ciclo infinito di morte, impossibile da spezzare e da comprendere, il cui racconto si perde nel buio di un nero che spegne lo schermo, come la coscienza di chi imbraccia un fucile e non fa più ritorno.

Recensione di Luigi Giacomazzi