In piccolo paese del Canton Grigioni, le verità nascoste dei suoi abitanti, i tradimenti amorosi e le dinamiche familiari e matrimoniali, vengono improvvisamente scosse dall’arrivo del nuovo parroco. Tedesco di origini indiane e anticonvenzionale rispetto alle regole della religione cristiana di cui è rappresentante, il prete spingerà i protagonisti a ripensare a se stessi, ai propri sentimenti, ai legami creati fino a quel momento.
Questa la trama di Amur senza fin, un film importante in quanto primo lungometraggio di finzione realizzato in lingua romancia, quarta lingua nazionale della Svizzera. Il romancio, nato dall’incontro fra il dialetto friulano e il ladino, è ormai parlato e capito da pochi, una lingua che in tanti definiscono addirittura morta. La pellicola di Christoph Schaub dimostra però il contrario, secondo i linguisti; le scene in cui i protagonisti discutono, infatti, numerose ed esilaranti all’interno del film, dimostrano come il romancio sia una lingua fantasiosa, vibrante e viva.
La sceneggiatura, scritta in tedesco e tradotta poi in romancio, risulta a volte poco originale e confusionaria, ma nonostante questo, la pellicola è comunque in grado di scatenare risate genuine nel tratteggiare personaggi buffi, intenti a destreggiarsi fra le insidie della vita.
La moglie che ha ancora voglia di viaggiare, di reinventare se stessa e il suo matrimonio, a cui sembra ormai mancare la scintilla di un tempo, dentro e fuori dal letto; il marito, fedifrago, che ha riscoperto la passione con un’altra. La libraia del paese, divorziata e per questo sola, sconsolata nei confronti del genere maschile e soprattutto in conflitto con se stessa; il rappresentante della comunità che non riesce più a fare l’amore con sua moglie, dopo tanti anni di matrimonio.
Per la distribuzione del film nei paesi anglofoni, il titolo è stato cambiato in Hide & Seek, che in italiano significa letteralmente ‘nascondino’. Centrale nella pellicola è infatti il guardare e l’essere guardati, concetto foucaultiano fondamentale negli studi sulla società moderna.
Il binocolo che alcuni dei protagonisti portano appresso prima, durante e dopo la caccia dello stambecco – un evento per cui gli uomini del paese si preparano ogni anno per mesi interi – è il simbolo didascalico dell’atto di costante osservazione che i concittadini (ma anche l’umanità intera) attuano l’uno nei confronti dell’altro; per invidia, curiosità, amicizia o, semplicemente, a causa di uno spirito ingenuamente voyeuristico.
È necessario l’arrivo di un prete che con questa comunità non ha niente a che fare (non parla nemmeno il romancio) a costringere i suoi abitanti a guardarsi davvero senza nessun filtro. A guardare se stessi e riscoprirsi infelici della direzione in cui la propria vita sta andando, delusi, insoddisfatti dai propri affetti; soprattutto, però, li spinge a parlarsi, a confrontarsi e trasformarsi con l’intento di ritrovare l’equilibrio perfetto nella pace ordinata di un villaggio incastonato fra le montagne, anch’esse osservatrici silenziose delle piccole vicende umane dei protagonisti.
Recensione di Deborah Osto
Amur senza fin non è una commedia come le altre.
Ci sono coppie in crisi con i rispettivi partner, tradimenti, bugie, incomprensioni. Ma non è una commedia come le altre.
Il film infatti è la prima commedia in assoluto realizzata in lingua romancia, la quarta lingua ufficiale della Svizzera, parlata solo da una minoranza della popolazione e solo in alcuni territori del cantone dei Grigioni.
Il film del regista svizzero Christoph Schaub ha quindi il pregio di portare sullo schermo una realtà nuova e di certo poco esplorata, seppur mantenendola all’interno di schemi narrativi già consolidati.
La storia si svolge in un piccolo paese grigionese, dove la comunità locale conduce una vita semplice e all’insegna delle tradizioni. Mona e Gieri, coniugi attivi nel contesto della vita cittadina, sono sposati da vent’anni, ma la passione sembra ormai aver lasciato spazio a una routine sempre uguale a sé stessa. Grazie ai suggerimenti poco convenzionali del nuovo parroco, tedesco ma di origine indiane, Mona cercherà di riaccendere la fiamma del suo matrimonio, tuttavia non senza conseguenze.
Schaub non esce particolarmente dal seminato della commedia tradizionale, ma piuttosto ne trasporta le coordinate in un sentiero fino ad ora poco battuto. E all’interno di questo contesto chiuso e conservatore, che ben viene rappresentato dalla componente maschile del gruppo, il regista dà voce alle esigenze femminili.
La narrazione viene affidata così alle donne, che diventano il vero motore della narrazione, capaci di mettere in crisi l’assetto familiare e comunitario che da sempre le circonda. La riscoperta di sé e del proprio corpo, il desiderio di mettersi in gioco, di riscoprirsi desiderabili sono elementi che smuovono il torpore esistenziale in cui vivono.
Se è vero che sono le protagoniste femminili a muovere le fila del discorso, portando ad inattesi sviluppi e mutamenti, è anche vero che la miccia inconsapevole di questi cambiamenti non è altri che il nuovo mansueto parroco del paese. Schaub prova in tal modo a rompere i confini della sua Svizzera, che tenta in tutti i modi di tenersi chiusa, a non cambiare le cose, ma che di fatto si ritrova di fronte a un mondo che comunque cambia e di cui essa è parte. E quindi il pastore della comunità non parla più il romancio, è scuro “come il cioccolato” e proviene da un altro paese, da un’altra cultura, e si sforza di portare avanti un nuovo tipo di evangelizzazione, che è aperta all’ascolto e alla novità.
Una commedia forse già vista sotto molti aspetti, ma nuova sotto altri, dove si ride delle piccole cose del quotidiano e delle debolezze dell’uomo, che spesso pare perdersi di fronte alle situazioni più semplici. E questo a volte basta a strappare un sorriso.
Recensione di Monica Bortolami
Amur senza fin è una buona commedia che punta alla risata semplice causata dal paradosso del momento, senza mai prendersi troppo sul serio e dando spazio per la prima volta in oltre settant’anni al romancio. Son infatti pochi sono a essere a conoscenza che la lingua romancia è la quarta lingua ufficiale svizzera. Partendo dalla sua particolarità, Christoph Schaub sviluppa le vicende degli abitanti di un piccolo paese svizzero nella quale questa lingua è viva e parlata ogni giorno. Dentro questo clima sereno Gieri, il protagonista, vive la sua vita ordinaria passata tra battute di caccia e un matrimonio che sente il peso del tempo. A scombussolare l’ordinaria vita di Gieri e il resto del paese, è l’arrivo di un prete indiano, dal carattere estroverso e dal buon occhio nello scorgere segnali di infelicità. Con poche parole, il nuovo arrivato inizia a disseppellire i segreti di una comunità allegra solo in apparenza. In maniera leggera e con numerose gag, la narrazione scorre fluidamente lasciando sempre lo spettatore con il buonumore, anche se a tratti certe situazioni appaiono forzate e incongruenti con lo sviluppo dei personaggi. La particolarità della lingua viene sfruttata solo all’inizio, con l’arrivo del prete, per poi essere accantonata a favore di temi che vediamo più spesso nelle commedie sentimentali come l’infedeltà, i nuovi amanti, la conquista del partner. A causa di queste ragioni il prete indiano, vero motore della vicenda nei primi minuti, finisce per essere relegato al ruolo di macchietta comica e sparire per gran parte della narrazione, ricomparendo solo nel gran finale. Dopo una sparizione così lunga dal centro della scena, il ritorno del prete sciupa la carica intensiva dell’inizio e si riserva come pretesto per permettere al protagonista di finire il suo percorso di riscatto. Se in apparenza si tratta di un film che parla d’amore e di coppie in crisi, scalfendo la superficie ci rendiamo conto che si tratta della rappresentazione dell’intimo desiderio di capire e accettare se stessi. Il miglior risultato che ottiene Schaub è appunto riuscire a dare un destino che rispecchia in pieno la coscienza di tutti i suoi personaggi, che prima di essere in crisi di coppia erano in crisi con la propria identità.
Nonostante i non pochi problemi di sceneggiatura, Schaub affronta temi universali della vita di coppia e dell’identità, riuscendo nell’intento di trascinare lo spettatore all’interno di un mondo che tra il linguaggio e le montagne sembrava così distante. Il lieto fine e le situazioni paradossali realizzate in chiave comica rendono Amur senza fin un film adatto a tutta la famiglia, anche se le numerose scenette erotiche, mai volgari e solamente accennate durante la narrazione, potrebbero far storcere il naso ad alcuni.
Recensione di Luigi Giacomazzi