La frase “Adam Sandler non è stato candidato agli Oscar” non suona esattamente come una gran notizia. La faccenda cambia però se consideriamo che la performance più recente del Pieraccioni d’oltre oceano è in Diamanti Grezzi (Uncut Gems), che non solo è un film drammatico ma è pure l’ultima fatica di due astri nascenti del cinema alternativo come Benny e Josh Safdie, che già si erano fatti notare a Cannes un paio di anni fa col loro Good TimeQuesta insolita ma azzeccata collaborazione, nata da una sceneggiatura che i due fratelli avevano scritto pensando proprio al comico americano più di dieci anni fa, approderà su Netflix venerdì 31 Gennaio. 

Questo thriller tanto angosciante quanto riuscito è ambientato nel cuore di Manhattan, nell’isolato che è al centro dell’industria dei gioielli di lusso della città, appunto il Diamond District; in questa giungla di orafi, banchi dei pegni e compro oro si muove Howard (Sandler), un gioielliere amato anche dalle star per la sua abilità nel tempestare di diamanti i monili più eccentrici e assurdi (tra cui un sobrissimo ciondolo a forma di Furby d’oro con occhi diamantati semoventi) ma sommerso dai debiti per colpa di una ludopatia galoppante. Le pene di Howard sembrano finalmente finite quando riesce ad entrare in possesso di un opale nero grezzo di inestimabile valore, col quale pensa non solo di ripagare i minacciosissimi strozzini che lo cercano ma anche di sistemare la sua complicata vita personale, tra un’amante troppo esigente (l’esordiente ma convincentissima Julia Fox) e una moglie al limite dei livelli di sopportazione.

Com’è prevedibile l’arrivo dell’opale non solo non risolve niente, ma dà la schicchera iniziale al terribile domino che è la fortuna di questo film: un susseguirsi di scelte sbagliate e passi falsi che a un ritmo serratissimo sbattono Howard e lo spettatore contro una serie infinita di muri e porte chiuse, il tutto accompagnato da un’angoscia e soprattutto da una fretta che i fratelli Safdie sono abilissimi a restituire. Non c’è un personaggio che non sia in debito o in credito con Howard e non c’è momento in cui la sua bottega non si affolli di clienti, collaboratori o strozzini che lo bombardano di varie richieste in un caotico crescendo che i due fratelli newyorkesi ritraggono al meglio, sia con la regia, tra giochi di sguardi che coinvolgono chiunque tranne il povero Howard in un crudele e continuo torello visivo, sia con ingegnosi espedienti in fase di sceneggiatura, come quella fondamentale doppia porta di sicurezza, di quelle tipiche dei gioiellieri, che inceppandosi e bloccando dentro di sé varie conoscenze dello sventurato protagonista serve ad aggiungere tensione per aumentare il fastidio fisico (squisitamente voluto) della spettatore in diversi momenti del film.

I momenti di pace e silenzio nel film sono rarissimi e dosati con sapienza, come per esempio la scena di inaspettato calore familiare di una Pasqua ebraica passata con la famiglia, una pausa che i due fratelli ci regalano prima di ricominciare coi pugni nello stomaco. La sensazione è quella di guardare un vecchio gatto che rotola da una rampa di scale antincendio, solo che a rendere il tutto ancora più patetico c’è il fatto che quel gatto è Happy Gilmore, o Little Nicky, o Mr. Deeds, o qualche altro personaggio di dubbio gusto protagonista di un film che avete visto a pezzi su Italia Uno otto anni fa quando C’è Posta Per Te andava in pubblicità. E il rapporto di odio e amore che il pubblico di tutto il mondo ha con Adam Sandler è fondamentale nella caratterizzazione del personaggio di Howard: non c’è una scelta fatta da lui che sia giusta o responsabile, qualsiasi passo è un passo falso ma nonostante ciò Uncut Gems ci fa fare il tifo per lui, ci fa sperare che questa volta per qualche strano motivo gli vada bene, perchè Howard è una persona squallida a cui noi spettatori sotto sotto teniamo anche se non ci è ben chiaro perché. Praticamente Howard sta agli investimenti e alle scommesse come Adam Sandler sta alla scelta dei ruoli, con la differenza che in questo film pare che uno dei due ne abbia finalmente fatta una giusta.

A Sandler va poi riconosciuto il merito di avere di fatto retto il film sulle sue spalle, con un’interpretazione che non meritava affatto di attraversare la award season come un fantasma. A dare manforte al buon Sandman è un cast di coprotagonisti di tutto rispetto, composto per lo più da esordienti che ne escono benissimo: dalla già citata Julia Fox (un’amica dei fratelli Safdie che registra un esordio sul grande schermo in stile Ilenia Pastorelli) all’ex giocatore di NBA Kevin Garnett che interpreta se stesso in maniera più che convincente. A prendere la scena però non sono né i protagonisti né i co-protagonisti, bensì quella miriade di piccoli ruoli affidati a personaggi al limite del fiabesco pescati dai due registi per le strade di Manhattan: vecchi bottegai, matti del quartiere, leggende del circondario che per poche scene interpretano sé stessi dicendo le loro battute come possono (alcuni in maniera molto convincente, uno su tutti l’incredibile signore attempato e abbronzatissimo che appare nella scena del casinò verso la fine del film, interpretato da una singolare leggenda urbana di nome Wayne Diamond), dando alla pellicola quel sapore di underground che riporta alla mente capisaldi del cinema indipendente come Kids di Larry Clarke (non a caso il film è girato su pellicola 35mm).

Grazie all’idea ben chiara di cinema che hanno i fratelli Safdie, grazie a un cast che fa il suo lavoro e grazie a un’attenzione non banaleai dettagli c’è da sperare che l’uscita su Netflix di Uncut Gems dia al film l’esposizione meritata che l’Academy e i grandi premi non gli hanno voluto rendere.