Un’equipe di scienziati norvegesi ha scoperto come rimpicciolire la materia organica. Sovrappopolamento, fame nel mondo, consumo delle risorse naturali: tutto potrebbe aver fine semplicemente con il Downsizing dell’umanità. Le dimensioni contano, mai come in questo caso. Ma come sarebbe un mondo abitato da persone alte 12 centimetri?
Inevitabilmente, dietro le premesse ambientaliste di questa scoperta scientifica si allunga l’ombra feroce dell’individualismo. Lo vive sulla sua pelle Paul Safranek (Matt Damon perfettamente nella parte), un uomo come tanti pronto a scoprire che il suo viaggio nella compressione del volume corporeo è solo il principio di un percorso più profondo verso la conoscenza di sé.
E’ un film politico, ambientalista, antitrumpiano, una commedia ibrida, fantascienza distopica, un dramma anticapitalista, un divertissement ecumenico, un j’accuse all’acqua di rose. Preparatevi a sentirne di tutti i colori nel tentativo di affibiare a Downsizing – film d’apertura della 74. Mostra del Cinema di Venezia – un’etichetta, di incasellarlo in una categoria banalmente riconoscibile. Non sarà abbastanza corrosivo per chi vorrebbe eleggere il nuovo film di Alexander Payne a manifesto green, non abbastanza politico per chi sarebbe pronto a classificarlo come la risposta hollywoodiana alla tracotanza di Trump, non abbastanza coinvolgente per chi, al cinema, vorrebbe vedere sempre e comunque una commedia “da ridere”.
Downsizing sfugge a tutto questo in maniera intelligente e sensibile. Lasciarsi depistare dalle contaminazioni tra i generi a cui il regista di Nebraska ci ha abituato sarebbe riduttivo. Come soffermarsi a sezionare ogni parte del film in cerca di un calo di tensione, di una perdita di cattiveria o di un’esplosione di satira grottesca. Downsizing muta forma, cambia ritmi, diversifica i filoni narrativi, ma rispetta toni e colori di una commedia sagace e ricca di sfumature.
Le foto del cast di Downsizing a Venezia
Ancora una volta è la solida sceneggiatura (scritta dal regista in colaborazione col fido Jim Taylor) a fare la differenza. La storia evolve dinamicamente evitando di risultare prevedibile o monotona. Tutto viene abilmente celato sotto le mentite spoglie di una commedia stile indie, o stile Payne, se preferiamo. Ma tanto più la satira resta sottotraccia – in particolare nella seconda parte del film – quanto più risulta profonda, coerente e concreta.
Al centro di Downsizing c’è l’uomo, con le sue debolezze e la sua fallibilità, le sue miserie e le sue risorse. Come sempre però nel cinema di Payne, dietro quest’umanesimo intimo e compassionevole, si nascondono i vizi di una società in esorabile decadimento, vittima di sé stessa e della propria autoreferenzialità. Di paradosso in paradosso, Downsizing ridimensiona allo stesso modo uomini e scoperte fantascientifiche, aspiranti ricchi miniaturizzati e fanatici ecologisti, prendendosi ironicamente gioco di quelle sovrastrutture su cui l’uomo finisce per scaricare sempre le proprie responsabilità.
Alexander Payne lascia l’amato Midwest (nonostante il protagonista Paul viva, almeno inizialmente, indovinate dove? Ma a Omaha, Nebraka), per allargare il quadro. In questo senso, Downsizing è forse il suo film più ambizioso. L’amore per i personaggi, come sempre irreversibilmente disfunzionali, resta immutato, ma il contesto diventa più ampio, comprende l’Europa e il mondo intero, segno che, alla fine, non solo metaforicamente, siamo tutti sulla stessa barca.
Se il viveur serbo Dusan (interpretato un po’ manieristicamente dal comunque sempre bravo Christoph Waltz) sembra scuotere Paul Safranek dal torpore della quotidianità, tocca alla vulcanica attivista vietnamita Gong Jiang (Hong Chau) fare da detonatore agli eventi, non senza ironia (memorabili gli 8 tipi di scopata dei maschi americani).
Si ride a denti stretti – a volte anche di gusto, in realtà – ma il tarlo nella mente dello spettatore è attivato e il messaggio è chiaro: l’impegno è qui e ora, e non è demandabile ad altri. Se questa è “solo” una commedia…