Si è chiusa ieri, domenica 19 settembre, la ventunesima edizione del Festivalfilosofia, l’appuntamento annuale che si svolge a Modena, Carpi e Sassuolo, e che ospita i nomi più importanti della filosofia contemporanea. Il tema di quest’anno era la libertà: una libertà da poco ritrovata, che ha permesso al pubblico di riprendersi le piazze e di godersi un evento finalmente dal vivo.

L’appuntamento con Emanuele Coccia ha coniugato il tema del Festivalfilosofia con quello della casa; è alla casa, infatti, che Coccia ha dedicato il suo ultimo libro “Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità”. Come si inserisce il concetto di spazio domestico all’interno di un festival dedicato alla libertà? La libertà ci viene dalla città: dalle sue strade, i suoi teatri, i suoi parlamenti e luoghi della politica; libertà e spazio urbano, quindi, coincidono. Veniamo però da due anni in cui la città è franata davanti ai nostri occhi; per la prima volta nella storia l’intera umanità è unificata da un’unica esperienza morale precisa. È l’inizio di un nuovo universalismo, sebbene doloroso.

In questi mesi le libertà urbane hanno trovato il modo di declinarsi all’interno delle mura domestiche: la libertà di lavorare e produrre reddito; la libertà di studiare; la libertà di svagarsi e socializzare, che ha preso forma nella piaga degli aperitivi su Zoom. Inoltre, dobbiamo considerare che nessun uomo abita veramente una città «perché le città sono, letteralmente, inabitabili». È sempre e solo grazie al “filtro” della casa che abitiamo la Terra.

La riflessione di Coccia sulla casa e sul ruolo che essa avrà nel prossimo futuro, si declina attraverso tre elementi: un oggetto, una pratica e un vivente. Tre componenti che avranno un ruolo centrale nella casa del futuro. Il primo, l’oggetto, è «l’artefatto più importante delle nostre vite, quello con il quale finiamo per confonderci»: il letto. Il letto è, infatti, la riduzione minimalistica della casa, la sua origine, l’unico elemento che proprio non può mancare. Questo oggetto rappresenta il contrario assoluto della città: è il luogo in cui non si fa nulla, non si produce; se la città è lo spazio di convocazione alla presenza, il letto ci permette invece di sparire. Il sonno è il luogo principe della libertà, lo spazio in cui tutto è possibile, in cui tutto e tutti si mescolano. Rappresenta un universo parallelo in cui ognuno è indisponibile, anche a sé stesso; è un limite psichico e fisico a ogni forma di socialità controllata. Queste “macchine domestiche di scomparsa psichica” rivendicano la libertà di sognare e non produrre, una libertà che precede il pensiero cosciente e che nessuno potrà mai toglierci, nemmeno noi stessi. La casa del futuro, quindi, dovrà rivendicare proprio questo: il diritto inalienabile a perdersi.

La pratica sulla quale Coccia si sofferma è quella del gaming; i videogiochi rappresentano infatti la forma trascendentale della casa. L’intero universo digitale e i social media costituiscono delle estensioni digitali dei salotti domestici. Creano dei corridoi da casa a casa, superando i limiti geografici di città e Stati. Per questo, la città non è più necessaria per fare comunità. Lo spazio domestico andrà quindi trasformato sulla base del videogioco, di Facebook e Instagram; ad esempio, scegliendo di creare legami con persone distanti da noi anziché imporci quelli con la famiglia genealogica. Whatsapp costituisce il nuovo Modulor per la socialità del futuro.

L’ultimo elemento preso ad esempio è un vivente che spesso abita insieme a noi: il cane. L’animale domestico rappresenta la fisiologia della casa. Fin dall’antichità uomo e cane si sono addomesticati a vicenda creando un sodalizio che perdura, fortissimo, fino ai nostri giorni. Prima ancora di posare una pietra, un mattone, la nostra casa è stata questa: un’altra vita. Una vita che non ha nessun legame di parentela con noi, né con la nostra specie. Il termine stesso “ad-domesticare” ci riporta al concetto di far casa; e il processo di addomesticamento non ha nulla a che vedere con la genealogia. La casa è, in primis, un artefatto psichico: non fatta di mura, quindi, ma di vite. Se un tempo tali vite coincidevano con la famiglia genealogica è per un motivo molto concreto: la famiglia era un’articolazione patrimoniale basata su produzione e riproduzione. Oggi ci siamo liberati di un concetto così antiquato e la casa va al di là di ogni parentela possibile. Coabitare non serve più a riunirci tra parenti, semmai ad evitarli. Possiamo scegliere liberamente con chi fare casa, siano essi consanguinei oppure no; esseri umani oppure no. In questo ambito si colloca il pensiero, tanto radicale quanto inevitabile, sulla necessità di rifiutare l’idea stessa della diversità. Non si tratta, quindi, di riconoscere pari valore a tutte le specie; bensì di rifiutare il concetto stesso di specie. Non siamo altro che patchwork ambulanti, piccoli zoo, formati da millenni di innesti e mescolanze di varie specie. Questo vale per l’uomo e per qualsiasi animale.

In conclusione, Coccia definisce la casa del futuro come il luogo che dovrà liberarci dal lavoro e dalla necessità di produrre; liberarci nel sogno; e, infine, liberarci dall’obbligo di appartenere a una specie, di definirci. Una relazione interessante e doverosa, dopo il lungo periodo in cui le case sono state rifugio per tutti noi. Il pensiero di Coccia è sempre acuto, mai scontato e permette realmente di diffondere una luce nuova su temi spesso trascurati. L’appuntamento col Festivalfilosofia 2022 è dal 16 al 18 settembre; il tema della ventiduesima edizione sarà la giustizia.

 

Emanuele Coccia, Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, Einaudi, 2021, pp. 132, euro 15.

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