Marianne Faithfull ha vissuto da protagonista della musica rock gli sfrenati anni Sessanta, è stata cantante, compositrice e attrice di teatro e di cinema. Per lungo tempo con i Rolling Stones era la “ragazza del gruppo” il cui talento era schiacciato da quello dell’egocentrico Mick Jagger. In anni dove il sessismo era ancora imperante, lo sballo era appannaggio dei maschi. Per lo stesso comportamento una donna veniva giudicata assai peggio. Specialmente una come lei, discendente da una famiglia alto borghese e aristocratica.
Il documentario biografico intitolato emblematicamente “Faithfull” girato dalla attrice e regista francese Sandrine Bonnaire (la cui vita varrebbe anch’essa un documentario), rende un doveroso tributo alla donna e all’artista, oggi settantenne. La vita della Faithfull è raccontata attraverso interviste, immagini e foto (molte in bianco e nero) degli anni Sessanta – in cui, bellissima e giovanissima, già dimostrava sicurezza, intelligenza e determinazione – alternate a interviste e immagini realizzate oggi, che ci restituiscono una donna intelligente e riflessiva, conscia delle proprie capacità, che non esita a parlare delle sue esperienze più buie ma che rivela anche una inaspettata semplicità e generosità: “Prima di morire devo rivelare me stessa al mondo, mostrare chi sono. Non sono una vittima, non sono una ragazzina stupida, sono Marianne Faithfull”.
Di certo una donna speciale, se solo si pensa alla disinvoltura con la quale scrisse e interpretò brani come “Sister Morphine” o alla dignitosa e professionalità e all’elegante autoironia con la quale, più recentemente, ha impersonato Irina Palm, film del quale la Bonnaire inserisce alcuni significativi episodi.
Marianne, incalzata dalle garbate ma ferme domande della regista, spiega quanto le sia sempre stata stretta la vita di coppia, racconta di come lasciò Jagger, ripensa al senso di colpa per la seconda gravidanza, di Mick, che non riuscì a portare a termine, ricorda il dolore per la morte di Brian Jones. Ma parla anche del presente e del futuro, delle sue ultime composizioni alle quali tiene molto perché sono un tributo ai suoi genitori: il padre, che fu una spia per il governo britannico in Austria; la madre baronessa austriaca e ebrea per parte di madre e la cui famiglia si oppose compattamente a Hitler.
“L’unica cosa che conta nella vita è l’amore” dice, e ciò che desidera è stare con le persone che più ama: suo figlio e i nipotini. “Non sono più una ribelle” dice “Mi sono arresa”. Ma forse è proprio in questo desiderio di normalità che c’è la ribellione e non la resa, c’è la rivincita contro la gabbia del sistema, per poter vivere davvero in libertà, che è la forma più vera e più alta della pienezza della vita.