Donato Carrisi torna alla regia per la terza volta (dopo La ragazza nella nebbia e L’uomo del labirinto) adattando nuovamente un suo romanzo. È il turno di Io sono l’abisso (Longanesi, 2020).
In un ramo del lago di Como, uno spazzino solitario e psicopatico colleziona la spazzatura delle (future sue) vittime che prende di mira. Un giorno salva una ragazzina dal tentato suicidio nel lago. Una donna con un evento drammatico alle spalle (si scoprirà poco a poco) si mette sulle tracce di quest’uomo misterioso. Queste tre storie si connetteranno tra loro.
Di più non si può dire perché Donato Carrisi ha fatto recapitare una lettera alla stampa in cui chiede di “non divulgare i nomi degli attori, una richiesta che è frutto di una precisa scelta artistica”.
Negli ultimi anni Donato Carrisi ha peccato in un eccesso narrativo tale da rendere i suoi thriller claudicanti per improbabilità e autocompiacimento. Come regista ha avuto il privilegio di dirigere attori di tutto rispetto, ma se agli esordi della sua carriera letteraria è stato un autore interessante, una voce sinonimo di qualità del genere, altrettanto non si può dire per quella registica. Non ci capacitiamo ancora del David di Donatello ricevuto nel 2017 che lo premiava come Miglior Regista Esordiente.
Qui commette inspiegabili leggerezze e ingenuità dovute a incongruenze e facilonerie. Gli attori sono sempre diretti con un’enfasi esibizionista e vecchia. La resa dei conti finali sfiora il ridicolo.
Dura due ore, forse meglio leggere il romanzo. Forse.