É un emozionatissimo e adorante fan d’eccezione, l’ultimo Leone d’Oro Guillermo del Toro, a presentare la consegna del Leone d’Oro alla Carriera a una leggenda tanto del cinema d’autore quanto del cinema di genere come David Cronenberg.
E un personaggio di peso come del Toro ha tutte le ragioni di questo mondo per essere emozionato nel presentare il premio che corona la carriera di quello che è il primo esponente di un tipo di cinema che pesca dall’horror e dal repertorio dei film di genere in generale per andare altrove, mettendo al centro del discorso il mostro nella più ampia delle accezioni (ed è proprio con un affettuoso “grazie mille, amico mostro” che il regista di Scanner ringrazia l’adorante collega), un cinema a cui il messicano deve una buona parte del suo bagaglio culturale e della sua ispirazione (di fronte a una Sala Grande gremita, del Toro si è scusato per l’agitazione con un lusinghiero “perdonate l’emozione, è il mio dio!”).
Canadese, 75 anni portati in maniera invitiabile, Cronenberg è riuscito a trasformare quella che negli anni ’70 era partita come una carriera da regista di horror duri e puri (Il demone sotto la pelle, Rabid) in un percorso personalissimo che propone riflessioni sempre diverse su temi ricorrenti se non onnipresenti nella filmografia del regista, dal corpo umano e disumano (Scanners, Crash, Spider) al rapporto tra tecnologia e umanità (Videodrome, eXistenZ), rielaborate secondo gli stilemi di generi diversi e talvolta mescolati tra loro.
Ritiratosi nel 2014 dopo il tragicomico Maps to the Stars, in questi giorni ha confermato le voci che lo volevano dietro alla creazione di una serie televisiva prevista per il prossimo anno, di cui però non si sa molto altro.