Uno dei lungometraggi più bizzarri presentati finora nella sezione del concorso internazionale di questo 70° Locarno Festival è sicuramente il docufilm Ta Peau si Lisse (una pelle così liscia) del videomaker canadese Denis Côté. Al centro del documentario sei personaggi che non chiamare bestioni è difficile (sperando che non si offendano): dal bodybuilder professionista come Jean-Francois a quello in erba come il giovane Alexis, dallo strongman e wrestler amatoriale Maxim al padre di famiglia prestato al mondo del bodybuilding, come Ronald.
Di questi personaggi il regista sceglie di raccontare una giornata tipo e alcuni traguardi importanti, come un incontro di wrestling o una gara di body exhibition, stando sempre particolarmente attento a non far percepire allo spettatore alcun giudizio personale sul mondo che ha deciso di ritrarre, optando per un approccio quasi verista (niente interviste, pochissimi dialoghi, praticamente assente la musica a commento). Per un’ora e mezza gli ingombranti protagonisti si allenano, consumano giganteschi pasti iperproteici, si dedicano a lunghi e complicati massaggi per rendere quella pelle nel titolo liscia e luminosa (pratica che nelle gare di bodybuilding, assieme all’olio e all’abbronzatura spray, aiuta delineare meglio i muscoli) ma non mancano di dedicare un po’ di tempo anche alla famiglia, alla fidanzata, al cane.
Le inquadrature statiche, quasi fotografiche di Côté rendono questi personaggi, già di per sé fuori dal comune, ancora più grossi, ancora più insoliti, ancora più forti. Il regista si diverte ad accostare ai sei soggetti bambini e cagnolini, a inserirli in un’affollatissima tavola imbandita per una cena in famiglia o a ritrarli intenti a posare nudi perla classe di un corso di disegno, senza però volerli mai mettere in ridicolo. Per quanto la creatività di Côté nel comporre l’inquadratura balzi di sicuro all’occhio, e sebbene possa essere interessante conoscere un po’ meglio un mondo, quello del bodybuilding o degli strongmen, totalmente estraneo a chi non lo frequenta, è molto difficile lasciare la sala senza avere in testa una domanda ben precisa: perché?
Perché decidere di raccontare non tanto il mondo del bodybuilding quanto uno spaccato di vita di sei personaggi ad esso legato, senza di fatto raccontare a fondo l’ambiente e i suoi meccanismi ma senza fare nemmeno approfondire la biografia dei suddetti? Il dubbio che si tratti di un puro esercizio di stile (per carità, riuscitissimo) è forte, e ad alimentarlo è il distacco che l’autore sottolinea per quasi tutta la durata del film, fatta eccezione per un paio di dialoghi tra alcuni protagonisti e le rispettive compagne. Sebbene riesca nell’intento di umanizzarli agli occhi degli spettatori più scettici (qualora che ne fosse bisogno) è chiaro che l’intento principale del videomaker francese sia quello di studiare dei soggetti incredibilmente interessanti, estetici e fuori dal comune attraverso l’immagi, attraverso l’inquadratura. Sebbene risulti molto difficile dire che il documentario lasci qualcosa allo spettatore, si tratta comunque di un prodotto curioso, scorrevole e ben confezionato, che sembra strizzare l’occhio molto più al mondo della videoarte che a quello del cinema.