Sette brevi spezzoni di vita vissuta da persone molto diverse tra loro per provenienza, temperamento e occupazioni si susseguono senza intersecarsi dopo un prologo in cui si palesa subito lo sfondo che fa da ‘collante’ alle storie stesse: una sperduta e ‘paradisiaca’ isola indonesiana dove ciascuna delle figure intercettate dal regista sta cercando, lontano dai luoghi d’origine, un nuovo orizzonte di senso per approdare a un proprio personale paradiso. Ma raggiungere il paradiso è forse possibile per gli umani?
Si inizia con vette montane immerse tra le nubi celesti, si termina con gli abissi del mare (forse per uscire, infine, “a riveder le stelle”?): il regista e scrittore serbo Mladen Kovačević ha dichiarato apertamente di essersi ispirato al Purgatorio dantesco per girare questa docu-fiction – si tratta infatti, per usare le parole impiegate da Kovačević alla discussione col pubblico che ha seguito la proiezione di Possibility of paradise tra gli eventi speciali delle Giornate degli autori 2024, della creazione di “un’illusione di realtà documentaria”. Leggendo la Divina commedia come una storia universale e senza tempo su una crisi esistenziale che fa scaturire un complesso percorso personale di crescita, Kovačević si è spinto molto lontano dalla sua Belgrado per indagare le inquietudini di chi, appunto in seguito a crisi esistenziali di varia natura, ha abbandonato programmaticamente i propri luoghi d’origine per intraprendere un percorso di crescita alternativo su una sorta di ‘ombelico del mondo’ assimilabile all’isola con l’alta montagna che Dante, a suo tempo, ideò per raffigurare il Purgatorio. Non è, peraltro, un caso che i frammenti di vita portati sullo schermo siano sette, come le ‘cornici’ del Purgatorio, e vengano preceduti, similmente alla cantica dantesca, da un prologo che fa da ‘antipurgatorio’.
Anche se quanto detto fin qui può far pensare a un luogo, selvaggio o idilliaco che sia, totalmente incontaminato e avulso dal distruttivo globalismo capitalista da cui alcuni dei personaggi sembrano fuggire, in realtà, al netto dei pitoni nella foresta (e nei giardini), diversi momenti fanno capire che la civiltà è comunque arrivata anche qui, tra l’ambizioso imprenditore che cerca la propria felicità nella costruzione di un nuovo resort turistico nella giungla al papà con figlioletto che si è costruito una villa con piscina, ma pare aver capito che ‘quel’ paradiso non fa per lui; passando per la spogliarellista che danza accennando agli stilemi delle coreografie folcloriche indonesiane (forse lo fa per gruppi di turisti occidentali che non vediamo?), che fa da pendant alla ragazza russa, tipica esponente di un’ampia fetta di artisti che ha lasciato le gelide latitudini natali cercando fortuna in luoghi esotici, che, invece, quelle danze le riproduce con tutti i sacri crismi e le insegna ai bambini del posto, anche se ciò che vediamo ‘dietro le quinte’ fa capire come certi rituali siano ormai stati spogliati della loro aura. D’altro canto, l’unica connazionale del regista di cui facciamo la conoscenza, la signora serba che pare incarnare alla perfezione un desiderio di purezza, di sanità fisica e di integrità spirituale, con i suoi corsi – perfettamente in linea con i trend del mercato di oggi – dove il life coaching è ibridato con la psicoterapia, lo yoga, l’agopuntura e varie pratiche esoteriche, nella scena in cui la vediamo pianificare la costruzione della sua nuova villa in loco fa pensare, piuttosto, a nuove e più subdole forme di colonialismo.
In ultima analisi, potremmo essere ovunque: l’importante non è l’ambientazione (nel prologo, d’altronde, le bambine del posto non prestano alcuna attenzione alla bellezza della natura che le circonda, perché per loro è ordinaria amministrazione), ma ciò che spinge ciascuna delle figure incontrate dal regista a considerare quell’isola un paradiso, un luogo in cui sentirsi bene, felici e realizzati. La famigerata ‘ricerca della felicità’, in ognuno dei singoli casi considerati, è ovviamente in fieri: il fotogramma fisso di alcuni secondi con cui si conclude ogni ‘cornice’ di questo singolare Purgatorio lascia infatti intendere un ‘to be continued’ e molto probabilmente, anche al di fuori del film, non ci sarà un finale. Richiamando alla mente un altro testo canonico della letteratura mondiale come Le Voyage, conclusione-non conclusione delle Fleurs du mal baudelairiane, è probabile che l’intero globo terrestre sia troppo piccolo per appagare davvero il sogno umano di approdare a un qualsivoglia paradiso: i sommozzatori protagonisti dell’ultimo frammento, similmente ai marinai baudelairiani sazi della terra, sembrano voler immergersi in profondità marine ancora insondate e “discendere l’ignoto per trovarvi nel fondo il nuovo”. E, nei titoli di coda, alla superficie del mare in burrasca subentra quello che, come ha spiegato il regista alla discussione col pubblico, è l’abisso ancor più profondo dello spazio visto dalla Terra, con astri che baluginano fiochi allontanandosi continuamente dal nostro sistema solare. Come Dante, vediamo quindi le stelle, ma non è detto che siano quelle del Paradiso: forse sono quelle dell’ignoto (“Inferno o Cielo, che importa?”, per citare nuovamente Le Voyage), verso cui tanto l’uomo quanto l’universo tendono all’infinito.
Alla base di Possibility of Paradise vi sono quindi spunti concettuali di indubbio interesse; purtroppo, però, molti di essi sono emersi solo dopo la discussione in sala col regista, sicuramente un intellettuale fine e di talento che ha illustrato le proprie idee in modo davvero incisivo. Peccato che non ci sia del tutto riuscito nel film, dove simili implicazioni risultano difficilmente intelligibili a causa dell’eccessiva frammentarietà della narrazione, la troppa distanza fra le storie raccontate – che talvolta sembrano addirittura afferire a film diversi per tono e per stile –, e la poca chiarezza nella presentazione dei vari personaggi. Il taglio sin troppo documentaristico, inoltre, non permette di cogliere appieno i sottotesti poetici, quasi filosofici di cui sopra, che, se declinati diversamente, avrebbero avuto un grande potenziale.