Una delle sezioni indipendenti più interessanti della mostra del cinema è quella della Biennale College, inziativa che dal 2012 permette a filmmaker esordienti di produrre la loro opera prima con un micro budget fornito dalla stessa organizzazione. Tra i fortunati cineasti selezionati per la sesta edizione dell’iniziativa c’è l’australiana Alena Lodkina, che decide di ambientare il suo primo lungometraggio, il film drammatico Strange Colours, in una desolata regione meridionale del suo paese, ricca di miniere di opali e di poco altro.
Al centro del racconto Milena, studentessa di psicologia che decide di prendersi un anno sabbatico per raggiungere la casa del padre malato, un uomo burbero e rude ma incredibilmente affettuoso nei confronti della figlia. Lasciata da sola nella spoglia e inospitale casa del padre, col difficile compito di proteggere la miniera di famiglia dai numerosi ladri della zona, Milena passerà un’estate in un ambiente lontanissimo da quello a cui era abituata in città, popolato da uomini dalle folte barbe e da una spiccata passione per la birra, che imparerà presto a conoscere e ad apprezzare man mano che il rapporto con il padre migliora.
Per quanto le ambientazioni, le location e i volti di un’angolo di mondo ignoto ai più contribuiscano non poco a creare quell’atmosfera suggestiva che aleggia per tutto il film, il merito è almeno in parte della fantasia e della ricercatezza che la giovane filmmaker dimostra nel comporre l’inquadratura e nello scegliere i paesaggi e gli sfondi migliori in cui inserire una protagonista ritratta in un momento importantissimo della propria vita. Oltre alle bellissime immagini fornite dagli stessi luoghi delle riprese, la regista decide di incastonare nella lunga serie di sequenze polverose dominate dal color sabbia anche delle coloratissime inquadrature (dal volto colorato di viola di uno dei ladri di pietre ai bellissimi quarzi estratti nella miniera) che spezzano sia la monotonia del paesaggio che quella del film in sé.
Il sapiente utilizzo della luce naturale sembra quasi rendere più piacevoli i volti gli spigolosi e irsuti dei personaggi con cui Milena condivide un’estate complessa (per la maggior parte attori non professionisti, tra minatori, allevatori di volatili e altri lavoratori della zona). Non si può parlare di vero e proprio racconto di formazione, dal momento che il personaggio di Milena non sembra andare incontro a un qualche tipo di trasformazione ma appare invece come una ragazza positiva, solare e ben disposta con tutti dall’inzio alla fine del film. Il tema del rapporto col padre sembra solo abbozzato nella prima parte del film, per poi venire approfondito in un finale malinconico e carico di emotività. Con un budget a dir poco ridotto e un esperiena praticamente nulla alle spalle (fatta eccezione per il cortometraggio There Is No Such Thing as a Jellyfish), la Lodkina riesce a confezionare un prodotto che non ha niente da invidiare a molti altri lungometraggi australiani prodotti negli ultimi anni, facendo sperare in un suo ritorno al festival nei prossimi anni, magari con alle spalle un budget più nutrito.