“The Boy and the Beast” di Mamoru Hosoda

Crescere con una spada nel cuore

Dopo il successo riscosso nel 2013 dalla toccante vicenda familiare di Ame e Yuki, Mamoru Hosoda ha fatto capolino per due giorni nelle sale con l’ultimo lungometraggio targato Studio Chizu, The Boy and the Beast, un nuovo racconto di formazione ricco di strizzatine d’occhio per i conoscitori del genere come di accomodanti cliché narrativi per i neofiti, cui s’aggiunge un’inaspettata vena d’azione prettamente shonen che rende il prodotto ancor più apprezzabile.

Il piccolo Ren, in seguito alla morte della madre, scappa di casa e si avventura nel quartiere di Shibuya, dove un losco figuro gli propone di divenire suo allievo: Ren quindi lo segue e si ritrova nello Jutengai, il regno dei bakemono – le “bestie” antropomorfe del folclore giapponese. L’estraneo altri non è che Kumatetsu, uno scorbutico orso spadaccino in lizza col rivale Iozen per succedere al Gran Maestro, ma la condizione posta da quest’ultimo per la sua idoneità è che trovi almeno un discepolo. Ren, ribattezzato Kyuta, si sottopone con Kumatetsu a un lungo addestramento che porta entrambi a perfezionarsi. Ormai diciassettenne, Kyuta ritorna per sbaglio nel mondo d’origine e fa la conoscenza di Kaede, studentessa che lo sprona a riprendere la scuola e a ricongiungersi col padre. Il dissidio interiore risveglia nell’adolescente le Tenebre, una forza oscura propria degli umani, che tuttavia riesce a sopprimere. Prima di partirsi da Kumatetsu si reca ad assistere all’incontro con Iozen, ma il primogenito di costui, Ichirohiko, ferisce a tradimento l’avversario del padre: si scopre così che Ichirohiko è a sua volta umano e che le Tenebre si sono impossessate di lui. Sarà perciò compito di Kyuta combattere per purificare il cuore suo e del coetaneo.the-boy-and-the-beast-02

Nel descrivere le tappe del percorso di crescita di Ren Hosoda ha attinto a piene mani non solo dall’inesauribile repertorio di leggende autoctone sugli yokai ma anche dalla tradizione epica cinese: la caratterizzazione di Kumatetsu prende le mosse dal guerriero primate Sun Wukong, superbo a tal punto da scatenare l’ira delle divinità; anche il seguito composto dall’aiutante scimmia Tatara e dal monaco suino Hyakushubo riecheggia la sezione del Viaggio in Occidente del medesimo ciclo, cui si richiama parodicamente il pellegrinaggio -infruttuoso – presso i Sette Maestri.

Anche questa volta il regista non si lascia sfuggire l’occasione di muovere una velata critica allo Studio Ghibli, nel quale pur mosse i suoi primi passi: nonostante una prima citazione a La Città Incantata, ravvisabile nella scena dell’arrivo di Ren al mercato di Jutengai girata in soggettiva, l’opera si configura come un parziale rifiuto della lezione di Miyazaki e di Kondo. La quotidianità del duo docente/discente è infatti costellata di parolacce e litigi dovuti alla scarsa predisposizione all’insegnamento di Kumatetsu, sicché Ren potrà contare solo sulle proprie forze per abbattere i pregiudizi della gente di Jutengai, senza l’ausilio di qualche spirito benevolo o potere sovrannaturale; Ren però non si rimette totalmente a Kumatetsu e raggiunge la maturità spesso facendo prevalere il suo punto di vista, instaurando un rapporto di mutuo scambio. D’altro canto, egli non gode dell’integrità degli eroi miyazakiani essendo lacerato da una crisi d’identità che lo vede in bilico tra la purezza dell’universo animale e la sete di conoscenza caratteristica della nostra razza.the-boy-and-the-beast-v1-479952

Insomma, ne The Boy and the Beast ritorna quella “poetica dell’abbandono” che tanto ci aveva commosso ne Wolf Children, ma il personaggio deputato a esprimere tutta l’amarezza di tale condizione è, ancor prima che il protagonista, la sua controparte femminile, Kaede. Questo personaggio, insieme con il maggior ruolo ricoperto dai combattimenti e dalla computer grafica, rappresenta il vero elemento di novità, in quanto incarna quella stigmatizzazione del sistema educativo e dell’istituzione familiare moderni che in Summer Wars avevamo visto stemperata in toni più ironici: ignorata dai genitori, Kaede non osa ribellarsi ma trova conforto nella contemplazione di un’indipendenza futura, ottenibile attraverso uno studio “matto e disperatissimo” che le garantisca una brillante carriera. Un’interessante chiave di lettura per la comprensione della psicologia dei due adolescenti è offerta dalla metafora di Moby Dick: il romanzo di Melville compare infatti a più riprese e costituirà il pretesto per l’incontro dei giovani non a caso Ichirohiko prenderà le sembianze di una balena per lo scontro finale. Come avrà a dire la stessa Kaede, “il capitano Achab combatte contro uno specchio”: parimenti, lei e Ren si trovano a dover fronteggiare una proiezione speculare di se stessi, riconducibile rispettivamente al bisogno di trasgressione e alla fascinazione del Male.

Sebbene con minore originalità rispetto al passato e tradendo ancora una certa imperizia nella gestione dei tempi, Hosoda ha dato alla luce un’opera meno amara e più pirotecnica ma non per questo insipida, distinguendosi per aver saputo conciliare il codice eroico dei samurai di Kurosawa con una storia d’amore discreta nata tra le pagine di un libro. Se effettivamente Hosoda possa esser definito “il nuovo Miyazaki” è ancora presto per dirlo, ma The Boy and the Beast offre ulteriori buoni motivi per crederlo.