Li chiamiamo illusi, a volte folli, nella migliore delle ipotesi ingenui sognatori. Sono quelli fuori dal coro, quelli che vogliono fare “la cosa giusta” perché è giusta, non per il proprio tornaconto. Sono quelli – e quelle, ovviamente – che scherniamo, che guardiamo con aria di superiorità e trattiamo con sufficienza. Per fortuna, qualcuna di queste persone, cercando bene, ancora la si riesce a trovare. Di sicuro, di queste valevoli caratteristiche è stato un esempio lampante Kempton Bunton, sessantenne combattivo di provincia divenuto celebre perché, nel 1961, rubò il ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya dalla National Gallery di Londra. Ma per una buona causa.
La vicenda, realmente accaduta in Inghilterra e venuta alla luce solo pochi anni fa, rivive ora in The Duke, una misurata e spassosa commedia molto british tanto nella costruzione quanto nello humor. A portare sul grande schermo l’ostinato idealista e la disillusa moglie, troviamo l’affiatata coppia Jim Broadbent e Helen Mirren, qui in versione “vecchie volpi del mestiere”. L’abilità dei protagonisti esalta infatti una scrittura sottile e asciutta, ricca di dialoghi serrati e battute che rimbalzano al ritmo giusto per tutto il film.
A far emergere ancor di più le istanze “rivoluzionarie” di Kempton contribuisce invece il suo non essere un vero e proprio eroe senza macchia: pigro, furbo, bugiardo, un po’ mascalzone e con un dubbio gusto per la teatralità di ogni gesto. Ma è proprio questo a renderlo ancora più simpatico, come spesso accade. La sua sete di giustizia è contemperata da una vena di irresistibile esibizionismo, il suo lottare contro il sistema è un modo per restituire un po’ di equità a un mondo che l’ha privato di una figlia, scomparsa prematuramente per un incidente di cui lui si sente responsabile.
Robin Hood con aspirazioni letterarie, Don Quixote filosofeggiante, Klempton preferisce portare avanti giuste rivendicazioni universali con poche speranze piuttosto che trovare (e mantenere) un lavoro fisso. Così la vita in famiglia procede tra rituali schermaglie coniugali, piccole menzogne “a fin di bene”, qualche sorriso e un amore di quelli senza tempo, che resistono in un modo o nell’altro alle bordate degli anni che passano. Finché non arriva il colpo del secolo, che le autorità attribuiscono a professionisti ben finanziati (italiani?), ma che invece scaturisce dall’idea di devolvere il riscatto del quadro per pagare il canone della BBC ad anziani e veterani di guerra.
La storia è sì edificante ma, come sottolinea Roger Michell, regista dal tocco leggero, da non prendere troppo sul serio. In un mondo di film – e persone – senza il senso dell’ironia, resta il gusto del divertissement, per fortuna.