You took your life as lovers often do but I could have told you, Vincent, this world was never meant for someone as beautiful as you.

Così canta Don McLean nella sua canzone Vincent, dedicata a Van Gogh, che insieme ai pezzi di Modugno fa da colonna sonora a tutto il film. È in onore di questa canzone che Elena (Valeria Golino) ha chiamato così suo figlio, avuto da Willie, un cantante da crociera (Claudio Santamaria) che l’ha presto abbandonata una volta saputo che era incinta. A sorpresa, sedici anni dopo questo abbandono, Willie, anche detto il Modugno della Dalmazia per i suoi tour nei Balcani a portare in giro i brani del cantautore pugliese, decide di rifarsi vivo e si presenta a casa di Elena per conoscere finalmente Vincent, rimanendo a sua volta spiazzato nello scoprire che il figlio che non ha mai conosciuto soffre di disturbi dello spettro autistico.

Cacciato in malo modo dal marito di Elena (Diego Abatantuono), si rimette in viaggio verso il suo prossimo concerto, salvo scoprire a metà strada che Vincent si è nascosto nel suo furgoncino; inizia così il classico road-movie in cui due personaggi inizialmente sconosciuti si trovano ad affrontare varie situazioni che poco a poco li avvicineranno, cambiandoli radicalmente, si spera per il meglio. Così infatti accade a Willie e Vincent, che impareranno a convivere con le proprie mancanze e nevrosi, scoprendosi più legati del previsto.

Tutto questo però non tiene in alcuna considerazione l’autismo di Vincent, e le problematiche che questa patologia comporta. È chiarissimo l’intento di Salvatores, il non volersi soffermare sulla malattia del ragazzo perché è solo una parte di ciò che compone il film, una parte che non è il focus di un’opera che, come detto in conferenza stampa, non vuole essere in alcun modo un film sull’autismo, ma piuttosto un film sull’amore, e più precisamente su un amore folle che spesso non trova il modo di esprimersi, l’amore di Vincent, di Willie e anche quello di Elena che, nel lungo inseguimento per recuperare suo figlio, finirà per scoprire nuovamente se stessa. Tuttavia Vincent, come viene presentato a inizio film, spintona violentemente via sua madre che vuole lavargli i capelli, per mordersi ferocemente il braccio e in seguito defecare in doccia e dipingere le pareti con le sue feci.

Questo Vincent scompare completamente per il resto del film, e la sua patologia si riduce a essere solo spunto per episodi macchiettistici, quando non grotteschi. Willie, a detta dello stesso Santamaria, non tratta Vincent diversamente da come farebbe con un suo pari, lo mette in situazioni di stress mentale che a volte potrebbero essere difficili anche per una persona senza alcuna patologia, e lo fa senza porsi alcun problema, come se il vero modo per trattare l’autismo e le persone che ne sono afflitte, in qualunque punto dello spettro esse siano, sia far finta che non esista. Ma non è così. Abatantuono, il padre adottivo di Vincent, per calmarlo nei momenti di crisi gli legge Gordon Pym: Willie non si pone il problema di cosa possa calmare o meno questo figlio disabile di cui non sa nulla e che decide di portarsi in giro senza più contattare sua madre, non si chiede se debba seguire una terapia, non si interroga su quale sia la vera età mentale di suo figlio quando paga una spogliarellista per fare sesso con lui (quando solo poche scene prima Vincent si era trovato in una situazione simile e aveva reagito violentemente, fuggendo dalla donna in questione).

È chiaro che non c’è l’intento da parte di Salvatores di sminuire in alcun modo il disturbo di Vincent, ma per renderlo più funzionale alla sua narrazione è stato bellamente ignorato per novanta minuti il personaggio introdotto nei primi dieci, trasformando una patologia grave e spesso molto difficile da gestire per le persone più vicine, in piacevoli e divertenti stramberie. Se è lodevole l’intento di non volersi soffermare su di essa, perché Vincent è molto di più della sua malattia e non deve essere definito da essa, allo stesso tempo non è legittimo trasformarla in una bizzarria facilmente trascurabile.