“Queen of the desert” di Werner Herzog

Herzogwood

Il film, presentato al Festival di Berlino 2015, costituisce una scelta atipica per Herzog, in quanto va a raccontare la vita dell’archeologa e politica britannica Gertrude Bell attraverso la struttura e gli stilemi del biopic classico (sempre rifiutati dal regista), dando eguale importanza alla Bell personaggio storico e alla Bell donna.

Quanti apprezzano Herzog sanno bene che il regista bavarese non è più quello di Aguirre, furore di Dio, Fitzcarraldo o La ballata di Stroszek. I suoi film di finzione del nuovo millennio si sono rivelati decisamente meno interessanti rispetto alla sua produzione precedente, con la sola eccezione dell’originalissimo My son, my son, what have ye done (e de L’ignoto spazio profondo, ma chi scrive pensa sia più opportuno assegnarlo alla categoria dei documentari, sebbene esso si configuri come un ibrido paradossale e fantascientifico).

Queen of the desert, che non spicca nella sua filmografia, così come non è spiccato al Festival di Berlino, rappresenta però una novità all’interno della sua poetica autoriale, in quanto manifesta un’adesione agli stilemi della classica pellicola hollywoodiana, seguendone gli schemi più tradizionali e alleggerendo la fruizione con una bipartizione piuttosto netta. Qui le caratteristiche tipiche dell’eroe herzoghiano (di solito romantico nel senso primo del termine: quello ottocentesco) si risolvono in un romanticismo moderno, che si rivela attraverso la struttura del melodramma classico.

Il nostro aderisce straordinariamente anche al linguaggio visivo dei generi di consumo per mettere in scena il problema amoroso come mai prima aveva fatto, concentrandosi sull’espressione delle emozioni del personaggio di Nicole Kidman in relazione all’ambiente e alle persone che la circondano. In questo senso l’eroina è in una posizione di parità con il contesto dal punto di vista della rappresentazione filmica (una rarità nel cinema del regista), mentre dal punto di vista meramente contenutistico troviamo una donna soffocata dalle tradizioni sociali (quindi che si ritrova su un gradino inferiore) cercare di affermarsi attraverso azioni osteggiate dalla mentalità del tempo.

Questo fa sì che Gertrude Bell, pur in maniera anticonvenzionale per Herzog, sia analoga ai suoi precedenti eroi, perché nei suoi film abbiamo sempre visto un sognatore, un personaggio titanico (di nuovo nel senso ottocentesco del termine) lottare per realizzare qualcosa, per trasformare la finzione della sua fantasia in realtà. In questo senso la “Natura che Dio creò con rabbia” contro la quale Gertrude Bell deve combattere è rappresentata prima dalle convenzioni sociali e solo in un secondo momento dalla reale tempesta di sabbia (il realismo estremo rimane sempre al centro della poetica dell’autore bavarese).

Certo, Herzog non si trova proprio nel suo territorio classico quando deve raccontare una giovane ribelle nella società britannica del primo novecento, però grazie a una gran prova d’attrice della Kidman (che si esibisce addirittura nella famosa “spirale di Kinski”), il film evita di scadere in un racconto passionale da romanzo rosa, e va invece a costituire un fulgido esempio di autorialità che cerca di esplorare zone nascoste, con passione di matrice anche autobiografica, a costo di rimetterci sul piano della pura qualità. Infatti è impossibile non notare l’identificazione dello stesso Herzog e del suo modo di fare cinema con Gertrude Bell (emblematica la scena in cui lei si vanta di non essere tedesca: Herzog considera la sua Baviera un’altra nazione rispetto alla Germania), cosa che si ritrova nella definizione comune che si dà di lei, quella di “Lawrence d’Arabia al femminile”.

Il regista sminuisce (direttamente attraverso le parole della protagonista e indirettamente attraverso l’utilizzo e la scelta dell’interprete di quello che fu un ruolo storico per Peter O’Toole) la figura del Tenente Colonello Lawrence. Sminuisce così anche quel tipo di spettacolarizzazione e di eroismo patetico e indomito che rappresenta l’uomo come secondo lui non è. Gertrude Bell si fa l’umana incarnazione (a dire il vero più in quanto somma delle proprie esperienze amorose che come espressione occidentale degli insegnamenti beduini) di quel personaggio sofferente che ha cambiato la geografia del mondo moderno, ma l’ha fatto con incertezza e dubbi, senza quella sicumera sprezzante e ostentata da superuomo di Lawrence. Così Herzog usa Pattinson nel ruolo del militare inglese come ha fatto Cronenberg con Cosmopolis, ovvero giocando sui suoi limiti attoriali piuttosto che sui punti di forza.

L’autore quindi è ancora capace di dirigere alla perfezione gli attori, concedendo il giusto spazio sia a James Franco che a Damian Lewis (che finalmente sembra riuscito a discostarsi dal suo personaggio di Homeland) e riuscendo a creare tra il primo e Nicole Kidman un duetto interessante, calibrato e mai noioso. Nonostante queste concessioni al linguaggio hollywoodiano e la scelta di volti noti in tutto il mondo, la regia si mantiene evocativa, esaltando la sua protagonista e riuscendo a giostrare molto bene con l’uso delle tipiche inquadrature paesaggistiche del genere. Il buon Werner riesce a estrapolare dalle riprese del deserto con il drone più di quanto riesca a fare quasi con tutto il resto della pellicola, lavorando più d’ambientazione e di messinscena.

Sono lunghi piani-sequenza totali dall’alto che ci regalano infatti una maestosa visione del piccolo uomo che tenta di trovare se stesso in ambienti sconfinati; essi si alternano a un uso funzionale del primo piano che accarezza i volti e li lambisce con lentissime zoomate, soffermandosi lungamente, confidando nell’intensità attoriale. Per Herzog dunque non esiste la via di mezzo: o la sincera emotività di un paio di occhi o l’ambiente nella sua totalità, in modo da cercare l’assoluta immobilità, per far vivere ogni attimo come se fosse in fieri.

In conclusione, Queen of the desert è un buon film, certamente godibile, e racconta un personaggio storico con una discreta completezza descrittiva. Nell’ambito mainstream rappresenta poi una variazione sul genere, grazie alle innegabili capacità di Herzog e alla sua verve creativa, per quanto sviluppatasi in direzione piuttosto atipica. Di contro però, all’interno della sua specifica produzione filmica, non rappresenta nulla di particolarmente significativo: si ha anzi l’impressione che il tutto si sia protratto per una ventina di minuti di troppo e che in generale la narrazione sia stata in parte prolissa e in parte melensa.

Chi scrive (che apprezza Herzog ancor oggi) è abbastanza deluso dalla piega dei feature film del regista degli ultimi anni, e, anche se non si può negare che nel complesso il risultato qui sia ancora passabile, pensa che nel futuro Queen of the desert finirà inevitabilmente per essere dimenticato. Anche se un film di Herzog non del tutto riuscito è sempre più interessante di molti completamente riusciti dello stesso genere.

Titolo originale: Queen of the desert
Nazione: USA
Anno: 2015
Genere: Biografico, Drammatico, Storico
Durata: 125′
Regia: Werner Herzog

Cast: Nicole Kidman, James Franco, Robert Pattinson

Data di uscita: Berlino 2015

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