L’amore per il cinema è nato grazie a un panino. Bernardo Bertolucci è il regista italiano che ama di più. Ha fondato in Iraq un centro di cinematografia per far crescere una nuova generazione di giovani cineasti. Bahman Ghobadi è a Torino per la retrospettiva curata da Marco Dalla Gassa e Fabrizio Colamartino, la più ampia (se si esclude quella del MoMA di New York del 2008) dedicata al regista iraniano di origine curda.
Venti paesi in due anni. Per un uomo che non ha più una patria, la valigia diventa un mondo: “Perdere la valigia per me significa perdere tutto, lì dentro c’è la mia vita, ci sono i miei progetti, tutte le cose preziose che ho“. Dopo aver diretto il film I gatti persiani Ghobadi non può rientrare in Iran, dove verrebbe immediatamente arrestato; per questo vive da più di due anni tra l’Europa e l’Iraq. Sta lavorando alla preparazione di un film tra Grecia e Turchia, “se non cambio tutto il protagonista sarà un settantenne uscito dalla prigione che cerca di trovare la sua famiglia“.
A Torino, in occasione del Sottodiciotto Film Festival si sono visti Turtles Can Fly e Il tempo dei cavalli ubriachi (vincitore della Caméra d’Or a Cannes nel 2000) due film che hanno per protagonisti i bambini, prime vittime della guerra, oltre a opere che in Italia non sono mai stati distribuite: Marooned in Iraq, Half Moon
Bahman Ghobadi, quarant’anni, cresciuto alla scuola di Abbas Kiarostami e Mohsen Makhmalbaf, è considerato uno dei registi iraniani contemporanei più significativi e innovativi nel panorama cinematografico. Ma è anche il promotore di una scuola di cinema con l’obiettivo di formare le nuove generazioni preparando giovani cineasti di etnia curda.
Come è nato il suo amore per il cinema?
In realtà non ho mai amato il cinema in quanto tale. Vivevo in una piccola città di confine, dove c’era solo un cinema con un piccolo negozio di panini. Quando mio zio mi portava al cinema c’era una specie di rito: si comprava un panino e poi lo si mangiava in sala. Per molto tempo ho pensato che fosse una specie di cerimonia legata al cinema. Poi ho scoperto che il cinema poteva essere uno strumento per lasciare un segno, un’arma per lottare.
Lei è un regista giovane, che sta formando una generazione di cineasti ancora più giovani di lei. Come è il suo rapporto con questa generazione futura?
In Iran si corre il pericolo che i giovani che hanno talento si perdano in una situazione difficile. Il governo è come un uomo che con una mano tiene la testa dei giovani sott’acqua, impedendo loro di respirare. Ma è anche il paese in cui il 70 % della popolazione è giovane, e con una storia molto antica. Negli ultimi quarant’anni si sono dimenticate cultura e identità, ma spero che i giovani possano recuperare ciò che si è perso.
Chi produce i suoi film?
Li produco da solo, spendendo pochissimo. Ho imparato che devo procurarmi i soldi da solo. Non sono ricco, però sono sempre riuscito a recuperare quanto mi occorre per girare.
Quali autori le piacciono del cinema italiano?
Io amo Bertolucci, l’ho incontrato qualche volta, ho visto quando ero ragazzo Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore: per me è un grande artista e una grande persona. Amo il neorealismo italiano, ma per me Bertolucci è sinonimo di perfezione.
Può raccontare qualcosa del nuovo film?
Questo è il mio primo film dopo essere andato via dall’Iran, parla di un uomo di settant’anni iraniano che, appena uscito dal carcere, cerca la sua famiglia, le sue radici e la sua identità. Ci saranno pochi dialoghi, in lingua greca, turca e farsi. Sto ancora lavorando alla sceneggiatura, a metà gennaio inizierò le riprese , ma spesso cambio all’ultimo momento. Per esempio ne I gatti persiani volevo parlare di due sorelle musiciste, ma quando ho conosciuto i due protagonisti ho capito che la storia della loro vita underground doveva essere raccontato e ho cambiato tutto una settimana prima di iniziare a girare.
La sua casa di produzione si chiama Mij Film . In lingua curda significa “nebbia”. Come quella che avvolge il Kurdistan e l’Iran, e che Ghobadi sta cercando, con il suo lavoro, di far dissolvere.
Retrospettiva Bahman Ghobadi, a cura di Marco Dalla Gassa e Fabrizio Colamartino
Sottodiciotto Film Festival
Torino, dal 9 al 18 dicembre 2010
http://www.sottodiciottofilmfestival.it