“Cecità” di José Saramago

Il mondo è pieno di ciechi vedenti

Probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono. Era in macchina, al semaforo rosso, il Primo Cieco, quando improvvisamente si accorse di avere perso la vista. Una cecità bianca, come un mare di latte, dove sentirsi persi.

Nel giro di qualche giorno il misterioso morbo dilaga in un’epidemia spaventosa che induce il Governo a internare i contagiati in un vecchio manicomio abbandonato, controllato da militari spaventati e pronti a sparare al primo movimento sospetto. La comunità, via via crescente, di ciechi si organizza e crea feroci regole di sopravvivenza in un ambiente ostile, sporco, insano, privo insomma di qualsiasi umanità. La cecità azzera tutto, come la morte. Non esistono più livelli sociali, differenze di età o di aspetto fisico. Solo la capacità di sopravvivere conta e, come in ogni società primitiva, hanno libero sfogo prepotenze, soprusi e malvagità di ogni genere. Homo homini lupus. Solo due occhi vedenti attraversano il romanzo: la moglie del medico (oculista!) ci vede e non perderà mai la vista, diventando il leader positivo di una banda di scombinati: la ragazza dagli occhiali neri, il vecchio con la benda, il bambino strabico, il primo cieco e la moglie e il commesso della farmacia.

Non è certamente un libro adatto a tutte le sensibilità, è un pugno allo stomaco. Il degrado bestiale di una comunità dove la sopravvivenza di ciascuno dipende dalla morte dell’altro, è descritta con crudezza e violenza. Cecità è una riflessione amara e feroce sulla bestialità dell’uomo, su quanto le situazioni estreme riescano ad azzerare quella luce della ragione e dell’anima, che fa veramente di un uomo un Uomo. La prosa è cruda e scarna come i fatti. La punteggiatura è assente e lascia che i dialoghi scorrano fluidi, riconoscibili solo per le maiuscole e per il senso. A tal punto tutto ormai è indifferente e uguale. Lo scrittore portoghese, Nobel per la letteratura nel 1998, riesce con Cecità, che è uno dei suoi romanzi più difficili, con i contenuti e con la forma ad attanagliare il lettore, spaventarlo, sgomentarlo e farlo riflettere sulla miserevole pochezza della propria condizione, rendendolo – si spera – meno arrogante e sicuro di sé.

Saramago ha resistito per anni alle numerose offerte per realizzare un film tratto dal suo romanzo perché temeva che un libro così violento sul degrado sociale potesse cadere nelle mani sbagliate e trasformarsi nell’ennesima storia hollywoodiana di zombie viventi. Quando però un gruppo di produttori indipendenti provenienti da Brasile, Canada e Giappone si sono presentati con un progetto che garantiva la fedeltà al romanzo ed al messaggio, Saramago ha ceduto, con la condizione che venisse mantenuta l’ambiguità geografica del racconto.
Blindness è stato diretto dal brasiliano Fernando Meirelles (già autore di The city of God e The Constant Gardener) e girato in Brasile e a Toronto. Tra i protagonisti Julianne Moore, Mark Ruffalo, Danny Glover e Alice Braga.

La scelta del film di apertura del 61° festival di Cannes 2008, il cui manifesto ritrae – non a caso – una donna fotografata da David Lynch con una benda nera sugli occhi, è ricaduta proprio su Blindness, quasi che il cinema si proponesse di aiutarci ad aprire gli occhi sul mondo che ci circonda e sulla fragilità della nostra arrogante civiltà che sta andando verso il collasso.
Come prevedibile per un tema così crudo, che costringe ognuno all’autocritica, l’accoglienza del pubblico e della critica non ha dimostrato grande entusiasmo.

José Saramago, Cecità, Einaudi, 2008, pp.315, € 11.50.