“Fair game – Caccia alla spia” di Doug Liman

Segreti, menzogne e tradimenti

La vicenda di Fair game trae origine da fatti reali: il “Plame affair” che si svolse sullo sfondo della dichiarazione di guerra all’Iraq. Valerie Plame, è un agente in incognito della Cia. La sua reale identità viene svelata per ritorsione da ambienti vicini alla Casa bianca, dopo che il marito, un ex ambasciatore, scrive un articolo di accusa nei confronti della condotta del presidente Bush jr. Da quel momento la vita della donna, e quella delle persone entrate in contatto con lei, si trova in pericolo.

Il film sviluppa il leitmotiv della fiducia come elemento essenziale di tutte le relazioni sociali, dai rapporti famigliari alla rappresentanza politica, e accusa esplicitamente il governo di George W. Bush di aver tradito la fiducia dei cittadini americani e di aver costruito deliberatamente delle menzogne per giustificare la guerra in Iraq.

Il sottotitolo (Caccia alla spia) con cui il film viene distribuito nel nostro paese è decisamente fuorviante: crea l’aspettativa di una spy story ricca di azione, sparatorie e inseguimenti, un po’ di violenza stilizzata e magari anche un po’ di sesso (ma non troppo). Fair game è invece un film statico, molto parlato, ben poco spettacolare. Ed è un film nel quale chi non conosca il who’s who dell’amministrazione Bush e dei suoi sostenitori – chi non sappia, per dire, chi siano Karl Rove o Robert Novak – facilmente può perdersi.

Il pregio di Fair game è di essere (almeno per i suoi primi 2/3) un film “serio”, che non cerca la spettacolarizzazione e facili effetti cinematografici. Si occupa di descrivere, con modi un po’ grigi, ma abbastanza accurati e credibili, le relazioni tra l’amministrazione Bush e i servizi segreti e le trame per arrivare alla dichiarazione di guerra all’Iraq e alla costruzione della menzogna sulla “pistola fumante”. Nell’ultima parte – dopo che l’identità di Valerie Plame viene svelata – il film muta di carattere. A questo punto, a prendere il sopravvento sono i problemi e i conflitti famigliari e l’andamento della storia diventa piuttosto sbrigativo e superficiale. Si ha a questo punto l’impressione che il film si trovi nella situazione di quegli oratori che, dopo essersi dilungati in lunghi preamboli, si accorgono di avere poco tempo a disposizione per svolgere il punto fondamentale del loro discorso e finiscono così per esaurirlo in modo schematico. Il melodramma famigliare, per il modo in cui è trattato, rischia di far perdere di vista in questa parte finale le questioni politiche.

Fair game soffre dunque di un evidente scompenso strutturale: introduce i conflitti decisivi della storia – la contrapposizione tra Davide e Golia, ossia tra i protagonisti e la Casa Bianca, e i dissidi famigliari che questa contrapposizione porta con sé – a 2/3 della sua durata, facendo apparire la parte precedente come una lunga e verbosa introduzione. Verrebbe allora da dire che, probabilmente, Fair game avrebbe potuto funzionare meglio se fosse stato sviluppato come mini-serie in tre o quattro puntate per la televisione: in questo diverso format vi sarebbe stato il tempo per sviluppare in modo meno schematico i drammi famigliari che fanno da contrappunto alla vicenda politica e per andare più in profondità nell’analisi dei meccanismi del potere.

Titolo originale: Fair game
Nazione: Stati uniti
Anno: 2010
Genere: Spionaggio, drammatico
Durata: 107’
Regia: Doug Liman
Cast: Naomi Watts, Sean Penn, Sam Shepard, Bruce McGill, David Andrews, David Denman, Ty Burrell, Brooke Smith, Michael Kelly, Noah Emmerich, Satya Bhabha, Kristoffer Ryan Winters, Tim Griffin, Ashley Gerasimovich, Khaled El Nabawy, Geoffrey Cantor
Produzione: River Road, Zucker Pictures, Weed Road Pictures, Hypnotic Productions
Distribuzione: Eagle pictures
Data di uscita: 22 ottobre 2010 (cinema)
Sito ufficiale: http://www.fairgame-movie.com/