Nei testi teatrali di Giuseppe Patroni Griffi, la musica ha, in vari modi, un ruolo spesso importante. In memoria di una signora amica è, a questo proposito, un esempio indicativo. Nella contraddizione presente nel personaggio del Maestro – contraddizione che in questo caso è resa benissimo da Tonino Taiuti – si trova infatti una delle chiavi di lettura del testo. Il personaggio, un musicista, aderisce ai principi rinnovatori della dodecafonia e per questa adesione è disposto a rinunciare alla carriera. Tali principi, col loro rifiuto dell’ispirazione e della musicalità tradizionalmente intese, sembrano quanto di più lontano dallo spirito di una città come Napoli che ha fatto del sentimento, della passione, dell’ispirazione e dell’improvvisazione le proprie bandiere. Allo stesso tempo, però, come vediamo soprattutto nel secondo quadro, il personaggio si abbandona spesso a una retorica e a un’enfasi prettamente partenopee: in lui l’adesione ai grandi principi sembra così diventare talvolta lo scudo sotto cui si nasconde l’inclinazione al vittimismo e all’inazione.
Il Maestro non è il solo personaggio contraddittorio di In memoria di una signora amica. Lo sono tutti i personaggi di questa commedia. Patroni Griffi li descrive con un misto di affetto e di disincanto, senza giudicarli: egli stesso è presente nella commedia (come Roberto, anche Patroni Griffi aveva iniziato lavorando alla radio) e sente che lui, e la generazione di intellettuali napoletani affacciatisi alla ribalta del mondo culturale sul finire della guerra, hanno partecipato di quelle stesse contraddizioni. In memoria di una signora amica è dunque un po’ un bilancio delle speranze e delle delusioni di quella generazione.
Strutturata in quattro quadri, corrispondenti ad altrettante serate, che si svolgono in un lasso di cinque anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra Napoli (la prima, la seconda e la quarta) e Roma (la terza), In memoria di una signora amica pone a confronto due generazioni, quella di chi ha appoggiato – per convinzione o per acquiescenza – il fascismo e quella che nel dopoguerra si è trovata di fronte l’opportunità e il peso di costruire una nuova Napoli e una nuova Italia. Allo stesso tempo, con questi personaggi, Patroni Griffi descrive – anche attraverso un riuscito momento di “teatro nel teatro” all’inizio del secondo quadro – i contrastanti sentimenti che prova verso Napoli e verso le espressioni artistiche tradizionali che l’hanno ingabbiata in uno stereotipo: i giudizi impietosi nei loro confronti (nelle parole del Maestro – “Napule è fernuta! Nun ce sta cchiù niente ‘a fa” – e di Mariella – “Al teatro, a quella sceneggiata che faccio io, la gentarella hai visto stasera come reagisce? Sono rimasti tali e quali: retrogradi e sentimentali”) si accompagnano all’impossibilità di recidere il cordone ombelicale.
I personaggi vivono quindi tra smarrimento e ansia di rinnovamento, tra desiderio di giustificare i propri sbagli e volontà di ricominciare, tra rabbia e impotenza, tra adesione ai grandi principi e scetticismo, tra ideali e costrizioni della realtà. La commedia riguarda Napoli ma il discorso di Patroni Griffi intorno alla dialettica tra il cambiamento promesso dal dopoguerra e la presenza del fascismo eterno (“guagliù, vi raccomando i fascisti, quelli mai… eh, mai più… l’esperienza insegna che non è un partito il fascismo, è una qualità d’animo, una qualità mediocre – si può annidare sotto ogni colore… capito?”, ammonisce Mariella nel quarto quadro) intende riferirsi all’intero Paese.
Operando alcuni opportuni tagli che sfrondano i dialoghi di riferimenti (Ada Negri, Ugo Betti, la Corea) che oggi sarebbero apparsi o didascalici o privi di significato, Francesco Saponaro ha realizzato un convincente allestimento di questo testo che era stato quasi dimenticato (dopo la prima del 1963 diretta da Francesco Rosi, si ricorda solo la versione televisiva di Mario Ferrero del 1978) ma che – pur avendo elementi datati – conserva interessanti qualità di scrittura teatrale. Un applauso a tutto il cast, a cominciare da Mascia Musy, Fulvia Carotenuto e il già citato Taiuti.
“In memoria di una signora amica”, di Giuseppe Patroni Griffi
Adattamento e regia di Francesco Saponaro
Con Mascia Musy, Fulvia Carotenuto, Imma Villa, Antonella Stefanucci, Valentina Curatoli, Edoardo Sorgente, Eduardo Scarpetta, Tonino Taiuti, Clio Cipolletta, Carmine Borrino, Giorgia Coco, Giovanni Merano, Anna Verde.
Produzione Teatro Stabile di Napoli.
Visto al Teatro Franco Parenti di Milano, 17 novembre 2015.