“Rysa (The scratch)” di Michal Rosa

A volte ritornano

Giornate degli Autori
Joanna e Jan festeggiano l’anniversario di nozze, ma fra i tanti regali che scartano dopo il commiato degli amici, ritrovano la registrazione di un programma televisivo, in cui uno storico fa un’affermazione che cambierà di colpo la loro vita: Jan sarebbe in realtà un agente degli ex servizi segreti comunisti, messo dal regime alle calcagna di Joanna fin dagli anni Sessanta per poter in realtà spiare suo padre, intellettuale dissidente.

Seppur con certa rigidità sentimentale propria del cinema polacco da camera (non a caso Manera a Zelig ha reso famosi certi scambi di battute an-emozionali), questo Rysa coinvolge per la paradossalità stessa dell’assunto: ai tempi del socialismo reale era possibile che un agente segreto si intrufolasse in una famiglia sospetta di attività antiregime, si fingesse altro dalla sua diabolica carica istituzionale, fino a sposare un componente della stessa a fini investigativi. L’enormità stessa dell’ipotesi non dissuade l’anziana Joanna, nervosa protagonista della vicenda, che si vede catapultata nel giro di qualche ora dall’alto delle sue certezze esistenziali fin nell’abisso del dubbio più atroce: quell’uomo che ha condiviso per quattro decenni e ancora condivide il tetto coniugale le è stato portato in casa non da un impeto amoroso, bensì dal Ministero dell’Interno?

La svolta conoscitiva (non documentata, non certa, dunque tanto più disperante) avviene alla fine di una tranquilla cena con gli amici. Amici che non hanno a loro volta perso certi approcci metodologici del regime che fu, se la pulce all’orecchio è messa alla coppia grazie a una videocassetta anonima confusa fra gli altri regali. Come ai “bei tempi”, neanche il coraggio di svelarsi e prendersi la propria responsabilità. La bomba è stata sganciata in modo anonimo nel focolare familiare apparentemente pacificato ed indistruttibile, che ora se la vedano i due anziani coniugi, che trovino loro un antidoto al veleno.

Cassetta fatale e vaso di Pandora, che da semplice documentario storico si trasforma (è questo uno dei meriti maggiori del film) in attualizzazione feroce delle colpe incancellabili del secolo sanguinoso che ci siamo finalmente riusciti a lasciare alle spalle. Non importa poi in fondo se Jan, che ha tutta l’apparenza di un innocuo travet, sia poi effettivamente una serpe coltivata in seno per mezzo secolo o un marito “vero”. Ciò che è inaudito è che la vicenda sia probabile, e il dolore più che smorzato è amplificato dalla lontananza storica della colpa. I casi sono due: o Jan è un marito impeccabile, e allora è lui la vittima allibita dei capricci di una moglie incapace di credergli; o egli si è paradossalmente innamorato solo dopo aver ricevuto effettivamente l’assurdo compito poliziesco di cui sopra. Il che rende la vicenda, nella sua essenzialità narrativa, moralmente vertiginosa (la critica polacca ha scomodato Bergman).

Il polacco Rosa (qui al suo quarto lungometraggio) si rifà al “cinema dell’inquietudine morale” degli anni Settanta (Holland, Zanussi, in parte lo stesso Kieslowski), quando i film-saggi facevano intersecare spesso con pressante immediatezza enigmi morali e quotidianità spicciola; anche qui nella vita casalinga di due intellettuali ormai affermati e vicini al meritato riposo fa la sua violenta incursione l’inarrestabile cruccio di un dubbio fondamentale: posso fidarmi di chi ho vicino? l’identità umana è affidabile? o è tutto un’incredibile finzione, alla quale ci abituiamo e infine aderiamo senza troppo sforzo (si legga: nel caso che il marito fosse davvero un ex-spia, domanda alla quale saggiamente il regista non scrive risposta certa).

La superficie senza increspatura di un’esistenza di routine viene sconvolta dal masso a lunghissima gittata scaraventato qui fin dal passato: inevitabile dunque fare una ben poco piacevole immersione nel tenebroso passato, la Repubblica Popolare Polacca, i metodi inumani della polizia, la persecuzione del libero pensiero. Ci si interroga (e ci si risponde affermativamente): è ancora troppo presto per chiudere i conti con il socialismo reale? Visto che la materia è ancora scottante e degna di ricerca storica minuziosa, ben vengano film (per quanto non brillantissimi e un po’ monotoni) come questo di Rosa, ad instillare dubbi. La pacificazione col passato è di là da venire. Sempre.

Convincente poi il rapporto istaurato dagli ottimi protagonisti nell’evoluzione di reciproca umiliazione e ricerca del perdono. Quelli rimangono i tratti principali della vicenda, anche se non è chiaro fino in fondo chi debba perdonare e chi sia degno di essere umiliato: se il forse incolpevole marito, incappato in una storia più grande di lui, o la testarda e in fondo acida mogliettina, che rigetta tutto il suo mondo familiare sulla base di un sospetto non documentato.
Ma il rancore e l’odio non hanno purtroppo bisogno di prove provate.

Titolo originale: Rysa
Nazione: Polonia
Anno: 2008
Genere: Drammatico
Durata: 89′
Regia: Michal Rosa

Cast: Jadwiga Jankowska-Cieslak, Krzysztof Stroinski, Ewa Telega, Miroslawa Marcheluk, Teresa Marczewska, Ryszard Filipski
Produzione: Filmcontract Ltd.

Data di uscita: Venezia 2008