Una mite sera d’estate, Firenze illuminata dalle luci calde dei lampioni, vie gremite che sfociano in piazza Santa Croce; e qui, seimila persone in attesa.
Tutto intorno, edifici restaurati e affrescati, con le finestre aperte da cui si intravedono le librerie antiche e i soffitti a cassettoni. Le terrazze con la gente seduta fuori, anch’essa in attesa. E davanti a queste seimila persone, che tutte le sere affollano la piazza dal 20 luglio scorso, un palco allestito proprio sotto la facciata della basilica di Santa Croce, perfettamente illuminata per risaltare sullo sfondo blu della notte.
Già questo basterebbe a generare emozioni. Se poi tanta attesa è per lui, il personaggio più popolare d’Italia, Roberto Benigni che ha scelto la sua amata Firenze per raccontarci di Dante e del suo viaggio nell’aldilà, allora davvero l’esperienza che si sta per vivere non può che essere unica e irripetibile. Suggestiva, emozionante, capace di ondeggiare dai moti di risa alle lacrime di commozione. Perché gli spettacoli di Benigni sono tutti così, in grado di toccare le corde più profonde dell’anima, allacciando lo spettatore attraverso un’empatia naturale, straordinaria.
Lo annunciano le note che ormai tutti in Italia – e anche fuori, dopo l’Oscar – abbiamo imparato a riconoscere. Ed eccolo salire sul palco frizzante, giocoso, sorridente, con una gran voglia di “chiacchierare” dell’Italia, del tempo, della crisi, di noi tutti, prima di addentrarsi per quella selva oscura che tanto ama. E allora Roberto saluta i presenti, con quel suo carisma che è gioia incontenibile per la vita: c’è Fabio Fazio (standing ovation dal pubblico), Vincenzo Mollica, il sindaco Matteo Renzi, il Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo.
Non manca nessuno in questa serata finale di TuttoDante, un evento che è stato talmente amato e apprezzato dal pubblico da contare in totale più di settantamila spettatori (oltre alle calorose ed entusiaste critiche della stampa).
Lui, Roberto Benigni, ne è contento, ma soprattutto sul palco si diverte come un bambino, passando in rassegna tutti i guai della nostra Italia traballante e gli argomenti del giorno: parla delle Olimpiadi e dei suoi cari “amici” che non può risparmiare da una battuta (Berlusconi, ovviamente, Monti, Scajola, Casini, Grillo e Renzi seduto in prima fila); discute del tempo e dei consigli “utili” per affrontare questo caldo africano (un monologo esilarante che piega in due il pubblico dalle risate), dei matrimoni gay e di questa crisi infinita; per arrivare infine al vero protagonista della serata, Dante, e al suo Medioevo.
Ed è qui che Roberto Benigni – con uno spettacolo di altissimo livello organizzato da Lucio Presta, produzione esecutiva di Arcobaleno Tre e produzione di Melampo (con tanto di spidercam sopra le teste del pubblico) – recupera quella funzione autentica e tanto preziosa che sta tutta (o almeno, dovrebbe stare) nel più profondo senso e significato dell’intellettuale. Ovvero, prendere la letteratura e portarla al popolo, aprire le pagine di un’opera indimenticabile che costituisce l’Abc della cultura italiana e mondiale, per trasportarla in una dimensione nazional-popolare, rendendo i versi comprensibili, animando le situazioni, dando vita alle scene e trasformandole in qualcosa di interessante anche agli occhi del cittadino meno colto.
È proprio qui, al di là delle risate e al di là della satira, al di là anche della poesia, che sta tutta la forza e l’importanza sociale di “TuttoDante”; in quella capacità, cioè, di diffondere la cultura alla massa utilizzando un linguaggio empatico e funzionale.
In particolare, per le serate a piazza Santa Croce Roberto Benigni ha scelto l’Inferno – dal canto XI fino al XXII – perché “per vedere Dio dobbiamo prima vedere le cose più sporche di noi”.
Prima di entrare nel vivo di “quest’opera di poesia da mozzare il fiato, la più straordinaria che abbiamo”, Benigni ci racconta il contesto in cui essa venne scritta: lo fa con un po’ d’ironia, qualche richiamo al presente, ma soprattutto con un’autentica passione per la storia.
Siamo nel Medioevo, epoca di indovini, maghi, fattucchiere e corruzione; ed è qui, in questa Firenze aggrovigliata in cui tutto nasce e tutto muta – dalle banche alla lingua italiana, dai mestieri alla letteratura – che Dante scopre “la nostra parte più intima, ovvero il desiderio di appartenere a qualcosa”. Così, attraverso i suoi versi, lo scrittore toscano che secondo Borges è “il poeta assoluto” “ci fa sentire che ognuno di noi ha un destino enorme e che la vita è tante cose, ma prima di tutto desiderio”.
Si abbassano le luci, i toni cambiano, l’atmosfera si fa solenne e il cuore accelera le palpitazioni. L’aria si carica di attesa. Poi si entra nel vivo nella Commedia.
www.tuttodante.it; www.chiaragiacobelli.com