Venezia 69: “Lemale Et Ha’Chalal (Fill the Void)” di Rama Bursthein

Ragione, fede e sentimento

Venezia 69. Concorso
Nella comunità chassidica di Tel Aviv, la vita scorre tranquilla tra feste, tradizioni e un forte attaccamento alla fede ebraica. La ruota della fortuna sembra girare a favore della giovane diciottenne Shira: ha trovato l’uomo che vorrebbe sposare e sua sorella Esther è in procinto di dare alla luce il primo figlio. Ma quando nel giorno del Purim Esther muore durante il parto, Shira si trova davanti a un dilemma. La famiglia vorrebbe che sposasse il cognato, rimasto vedovo con un figlio appena nato, sostituendo così la sorella come moglie e madre, ma il cuore sembra condurla su un altro percorso.

Le ragioni del cuore, della fede e della famiglia si fondono nella pellicola della regista israelo-americana Rama Bursthein, che ha dedicato la sua carriera a raccontare attraverso la macchina da presa la comunità ultra-ortodossa chassidica alla quale appartiene. La storia diventa così veicolo di una cultura ricca di tradizione e indubbiamente affascinante, ma anche profondamente rinchiusa in se stessa e ostile alla parità fra i sessi. Senza particolare critica, la regista traccia con serenità un piccolo mondo antico in cui il matrimonio sembra essere l’unico obiettivo possibile, soprattutto per la donna, talvolta letteralmente amputata quando priva di marito. La zia di Shira, mai convolata a nozze, è senza braccia, e Shira si sente chiamata a riempire il vuoto lasciato dalla sorella, come suggerisce il titolo, un vuoto identitario ancor prima che affettivo.

Alla morte di Esther, la figura di moglie e madre non manca in quanto persona, soggetto amante e amato, ma solo come istituzione sociale da affiancare allo sposo. A sua volta, Shira non potrà essere completa fino a quando non avrà un marito che possa definirla come soggetto all’interno della comunità. Ispirandosi ai romanzi di Jane Austen, la Bursthein ritrae una giovane protagonista divisa fra ragione e sentimento. Ma dove le eroine di Austen rivendicavano un forte senso di indipendenza per ergersi ad esseri pensanti non schiavi del cuore o della mente, per Shira e la Bursthein le ragione, e ancor di più la tradizione ortodossa, dettano i sentimenti, trasformando la donna in semplice esecutrice.

Il film sembra quasi custodire con orgoglio questo universo isolato, “tagliato fuori dalla modernità” per stessa ammissione della regista. Seppure la Bursthein scelga di “realizzare un film che eviti un dialogo sul contrasto fra religione e secolarità”, la storia cela un messaggio politico molto forte, facilmente non condivisibile, teso a difendere questa segregazione tra uomo e donna, l’intrusione della famiglia e della comunità religiosa nelle scelte relazionali, la possibilità che una donna possa trovare dignità come semplice pedina in un gioco delle coppie dove conta solo raggiungere lo status di moglie il prima possibile.

Fill the Void è indubbiamente una preziosa testimonianza di una cultura, quella chassidica, spesso inaccessibile e lontana, viva nei suoi canti e balli, nel senso comunitario e nell’importanza della tradizione e della fede. Sono invece opinabili i valori presentati senza essere messi più di tanto in discussione, come lo è la difesa dell’amore solamente come maschera sociale, calcolo strategico, niente più che un senso del dovere che si insidia nel profondo del cuore fino ad addomesticarlo.

Titolo originale: Lemale Et Ha’Chalal
Nazione: Israele
Anno: 2012
Genere: Drammatico
Durata: 90’
Regia: Rama Bursthein
Cast: Hadas Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chaim Sharir, Razia Israely, Hila Feldman, Renana Raz, Yael Tal, Michael David Weigl, Ido Samuel, Neta Moran, Melech Thal
Produzione: Norma Productions
Distribuzione: The Match Factory, Lucky Red
Data di uscita: Venezia 2012