La Giuria internazionale del Premio della Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica – FIPRESCI ha motivato il premio a questo film spiegando che: “Birth è un’accurata dissezione femminista del ruolo delle donne che bilanciano maternità, lavoro e creatività nel nostro mondo competitivo, realizzata da una regista che si ispira al cinema di Yasujirō Ozu”.
Così si sono espressi su questa pellicola i critici cinematografici Roberto Baldassarre (Italia) Joanna Orzechowska-Bonis (Francia), Harri Römpötti (Finlandia), assegnandole il prestigioso premio Fipresci, al termine del concorso del 41° Torino Film Festival. Difficile per uno spettatore qualunque capire se e quanto la giovane regista Jiyoung Yoo, nata in Corea del Sud nel 1989, effettivamente si sia ispirata a Yasujirō Ozu. Per chi non lo sapesse, il personaggio in questione è stato un regista giapponese, esponente del cinema realista, minimalista e schivo, nato nel 1903 e morto nel 1963.
Quello che non può fuggire a nessuno è invece che nella pellicola “Birth” (nascita), si parli del ruolo delle donne di oggi. Di una donna in particolare, Jay, scrittrice di crescente successo, che non ha nessuna ambizione se non scrivere e non ha altro scopo nella vita. Il suo compagno, Geonwoo, è solo un semplice insegnante di inglese in una scuola privata, ma al contrario si lei è ambiziosissimo, tanto da lavorare instancabilmente e stimolare persino la compagna a fare di più. Tuttavia la coppia funziona, ma tutto cambia quando Jay accidentalmente, si ritrova incinta: per lui è un coronamento di una necessità sociale, per lei invece è la fine certa della sua carriera e di tutte le sue ambizioni. Sa che la gravidanza e la maternità non fanno in alcun modo parte dei suoi progetti di vita ed è convinta che le impediranno di dedicarsi totalmente alla scrittura, l’unica cosa che ama davvero. Le preghiere insistenti di Geonwoo la persuadono a malincuore ad affrontare quei nove mesi, nei quali tuttavia è martellata dalle più ottuse convenzioni familiari, preda di dolore fisico e crisi di creatività, fino al drammatico momento della nascita. Geonwoo nel frattempo è vittima della sua esagerata ambizione e del desiderio costante di ottenere sempre più successo. Frustrato e umiliato, distrugge se stesso e allontana la donna che ama.
Sola, finalmente, Jay ritrova la pace per ricominciare a scrivere il suo romanzo più intenso e personale: “Birth”, appunto.
Se è vero che c’è un filo conduttore in ogni festival, non si può evitare di accostare la scrittrice Jay a un’altra donna scrittrice, Alda Merini, protagonista della pellicola “Folle d’amore”, di Roberto Faenza. Entrambe le donne sono spinte alla scrittura da un fuoco che non lascia loro spazio per altre attività, men che meno per obblighi domestici, genitoriali o coniugali. Ma per sua fortuna nella Corea di oggi Jay non pagherà con l’elettrochoc la mancanza di propensione domestica, come era successo invece ad Alda Merini, che pagò a un prezzo disumano la sua vocazione letteraria e per la sua scelta di essere donna di cultura e non di casa.
I temi di questo lungometraggio, il secondo della regista, sono profondissimi e trattati con accuratezza e dialoghi interessanti, ci si percepisce persino un qualche coinvolgimento personale. Purtroppo la lettura dei sottotitoli, necessità inevitabile, è penalizzante per il film, che viene meno osservato nei dettagli della sua sceneggiatura. Inoltre la recitazione segue il comportamento evidentemente tipico dell’Oriente, con frequenti ossequi e inchini, il che involontariamente rende ai nostri occhi grottesche certe scene che invece vorrebbero (almeno così pare!) essere drammatiche.
Se sarà riproposto nei cinema italiani, è auspicabile che abbia una traduzione adeguata che ne faccia apprezzare il ricco e vario contenuto.