Le recensioni dei partecipanti alla Critics Academy:
Nel 2008 la regista Heidi Specogna trova, in un piccolo villaggio della Repubblica Centrafricana, un quaderno contenente le testimonianze delle terribili vessazioni che trecento persone (fra uomini, donne e ragazze) subirono per mano di mercenari congolesi durante il sanguinoso conflitto armato del 2008. Il contenuto del fascicolo, che non raggiunse mai la sua meta ideale, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, viene ora divulgato dalla regista in Cahier Africain, il quale non è solo un documentario di terribile potenza visiva, ma è prima di tutto un grido di speranza e un tentativo di dar volto e voce a tutto quel dolore che spesso viene volutamente dimenticato dai paesi industrializzati.
E’ un continuo pugno allo stomaco il lungo indugiare della regista svizzera sui corpi martoriati, sulle lacrime dei bambini e sulle ferite mai completamente cicatrizzate di un paese dilaniato da faide interne. Eppure, in tutta questa desolazione, le persone raccontate riescono comunque, nel loro quotidiano, a trovare spiragli di felicità, come si può osservare dai loro sguardi, lungamente inquadrati, nei quali si annida sì una profonda tristezza, ma anche tanta speranza.
E’ un film crudo e impegnativo, Cahier Africain, ma proprio per questo assolutamente efficace e coraggioso.
Nell’archivio della Corte penale internazionale dell’Aja, tra un’infinità di documenti che aspettano di essere esaminati, c’è anche un quaderno. Semplice all’apparenza: contiene una lista di nomi, cognomi, età, foto e testimonianze di oltre 300 persone. Sono le vittime delle violenze da parte dei mercenari congolesi che tra 2002 e 2003 hanno travolto gli abitanti di molti quartieri di Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana. Da questo quaderno la regista decide di partire per testimoniare avvenimenti atroci ai quali solitamente viene dato poco peso, come aveva fatto nel precedente Carte Blanche (2013).
Heidi Specogna predilige il punto di vista femminile nel seguire le vicende di donne e bambine, vittime di abusi e figlie di abusi. Lo stile duro e brutale, ma in fin dei conti semplicemente realista, non risparmia nulla allo spettatore e allo stesso tempo non gli fa distogliere lo sguardo. Dopo due ore di immagini forti e di testimonianze così dirette che giungono come una martellata sul cuore, ci si sentirà come dopo aver osservato una notte stellata: schiacciati e inermi di fronte all’illimitata violenza della razza umana.