E cosí volge al termine il concorso internazionale della 70esima edizione del Locarno Festival. Lo fa con il primo film da autore di Jim McKay, con alle spalle esperienze sia come mestierante cinematografico come come regista televisivo (The wire, Mr. Robot.)
Un gruppo di migranti messicani senza documenti provenienti da Puebla, vive a Sunset Park, a Brooklyn. Lavorano tutti sei giorni a settimana come fattorini in bicicletta, muratori, lavapiatti, commessi o venditori di dolciumi, svolgendo turni lunghissimi. La domenica, invece, si godono il giorno di riposo sui campi di calcio di Sunset Park. José, ragazzo che fa le consegne in bicicletta, è giovane e talentuoso, un lavoratore serio e responsabile, oltre che il capitano della squadra di calcio. Quando la sua squadra giunge in finale, l’entusiasmo è alle stelle, ma il suo capo gli mette i bastoni fra le ruote, obbligandolo a lavorare proprio il giorno della partita. José tenta di farlo ragionare e di trovare un sostituto, ma tutti i suoi sforzi falliscono. Se non si presenterà al lavoro il suo futuro sarà messo a repentaglio.
Il film di chiusura non è certo ambizioso, e infatti si pone come obiettivo quello di raccontare la storia di un piccolo gruppo di amici che, castrati e piegati dalle loro condizioni di vita e di lavoro, trova come unico sfogo, come unica evasione dalla routine, quella del calcetto. Non è tanto la finale del campionato di quartiere a essere importante, si tratta piuttosto di una questione di principio: la domenica, il settimo giorno, è dedicata al riposo, in questo caso alla liberazione dalla frustrazione settimanale. I motivi per non farlo sono tanti, riguardano addirittura la futura paternità di José, ma lui in qualche modo a quella partita deve partecipare, sia anche in jeans, male e poco.
L’opera in sé non vuole essere piú che un’ode agli sconfitti, una minima celebrazione delle loro fatiche giornaliere, del fatto che sì, tutti hanno bisogno di qualcosa a cui dedicarsi, e vale la pena fare tutto il possibile per guadagnarsi quella insignificante ed effimera soddisfazione quando il giorno successivo sarà di nuovo una prece. Lo sguardo di McKay è semplice ma non semplicistico, il suo stile è televisivo, certo, inquadrature quadrate e precise, senza strafalcioni e senza guizzi, ma dimostra ampia flessibilità, riprendendo la mezz’ora della finale di calcetto Puebla – Amarantos 4-3 con la camera a spalla dando solidità alla messa in scena, permettendo allo spettatore di seguire una partita di calcetto credibile, con contrasti goffi e la confusione di alcune situazioni. I nostri eroi per una giornata vincono, ma l’ultimo sguardo del protagonista pregno di malinconia nel finale, conscio di aver perso il lavoro, ci riporta alla realtà e sporcando il consueto lieto fine con vittoria all’ultimo secondo, lo rende piú completo, piú sincero.
In conclusione, En el séptimo día è un film compatto, piacevole che non si perde dietro a nessun particolare scopo se non quello di raccontare una storia che faccia sorridere lo spettatore. È sorta di commedia che non cerca apertamente la risata, piuttosto mira a far sentir meglio lo spettatore, è il film che il concorso aveva bisogno per chiudere lasciando lo spettatore soddisfatto, sorridente.