La settimana della critica di Locarno 70 si apre con Las Cinéphilas, ultimo fatica della regista argentina Maria Alvarezal, in questi giorni alle prese con la prima mondiale del suo primo lungometraggio.
Le eponime cinefile sono pensionate del Sud America che vanno al cinema ogni giorno, senza eccezioni. Per loro i film non un sostegno o un passatempo, ma un avvenimento sicuri e ricorrente durante le giornate che corrono via nella noia, e il cinema è il luogo in cui possono alleviare la solitudine, dimenticando lo scorrere del tempo. La finzione si ripercuote sulle loro vite progressivamente, modificando la memoria di ognuna.
Ebbene sì, è il primo lungometraggio per Alvarez ma solo di nome, essendo solo di 72’. Minuti che con modalità documentaristiche vanno a raccontare le vicissitudini personali, e non solo legate al cinema, come passione e come hobby. La struttura è altrettanto basilare, esplicandosi in una mezza dozzina di interviste ad altrettante matrone, spezzettate in piccole sequenze che alternandosi tengono alto il ritmo e forniscono sufficiente variazione. Lucìa, Pamela, Leopoldina e le altre si raccontano senza problemi, concedendo parte dello scarso minutaggio ai ricordi di gioventù, specie per quanto riguarda i mariti, siano essi defunti o fuggiti. Ciascuna intervista è smezzata, una parte stabile, in casa delle anziane cinefile, e un’altra in itinere, per strada, passeggiando o dirigendosi verso un cinema locale.
Gli elementi per confezionare un mini-doc di simpatia e qualità ci sono tutti, e infatti Alvarez fa parlare le sue decane come loro viene spontaneo fare, anche se ciò comporta uscire completamente di tema; si veda Lucìa che non fa remore a lasciarsi andare a commenti sulla sua passata vita sessuale, o sulle sue idee sulla vecchiaia, indipendentemente dal cinema. Tutto questo però non frustra lo spettatore che anzi si fa coinvolgere dai racconti e finisce per ridere come si farebbe in una normale commedia. C’è sincerità in Las cinèphilas, a tal punto che contagia e non può non far riflettere chi guarda, specie se la proiezione avviene nella sede di un festival (e questo è proprio il caso) sulle proprie prime e più significative visioni, o sulle preferenze di carattere rigidamente personale, per finire sulle riflessioni di carattere generale, ovvero quali sono i legami più importanti tra pensiero, vissuto ed esperienza cinematografica di ognuno di noi. Esattamente come ognuna delle adorabili vecchiette è interrogata sul piano personale così fa Alvarez con tutti gli spettatori presenti: è sì un documentario, ma ha derive intimistiche degne di nota, in quanto di fatto costituiscono il cuore sentimentale del film.
Però se lo spettatore ne esce redivivo, in parte purtroppo lo fa a spese del cinema stesso. Come già detto fa simpatia sentire parlare le intervistate dei loro idoli e delle loro scene preferite, ma al contempo l’idea dell’istituzione Cinema s’ammanta di malinconia, venendoci raccontata con amore ma sempre per le idee di empatia, realismo, evasione dalla realtà, passatempo. Sarebbe insensato cercare di distribuire colpe, ma se Las cinèphilas ha una falla è proprio quella di non riuscire – per l’ennesima volta – a raccontare il cinema come arte, e non come un apparato tecnico.