Dopo i primi due episodi di Suburra – La serie, la sezione del Cinema nel Giardino della 74° Mostra del Cinema di Venezia riceve un’altra visita italiana con Manuel, di Dario Albertini.
Manuel compie diciott’anni e per la prima volta assapora la libertà di cui è stato privato dopo essere stato affidato a una casa famiglia a causa dell’incercerazione della madre. In uno scenario di periferia il ragazzo dovrà affrontare il mondo e diventare adulto.
Il film è da considerarsi senza problemi un seguito spirituale de La repubblica dei ragazzi, di cui riprende le tematiche in modo direttamente consequenziale. Manuel è il risultato moderno di quanto si raccontava nel primo film del regista. Esso voleva far luce sul cordone istituzionale che salvava dalle strade, offriva riposo e curava e infine avviava al vero “mondo di fuori” (come lo chiamavano e chiamano tutt’ora i ragazzi) sviluppatosi nel secondo dopoguerra. Manuel è un esempio del frutto del cambiamento di queste strutture nel corso del tempo fino ad arrivare ai nostri tempi. Una sorta di alieno viene messo in libertà in quel mondo che ha guardato solo dalla finestra, seguendo l’epilogo della precedente vicenda. Non importa soltanto il percorso all’interno della casa-famiglia, quello che segue è tutt’altro che un finale banale dopo il conflitto: Manuel praticamente vede la luce del sole con occhi nuovi e deve superare un’altra prova di crescita, dalla maggiore età formale alla maturità adulta ed effettiva.
Lasciando ampissimo spazio all’improvvisazione, con esiti ambivalenti, Albertini ci racconta una storia quanto più possibile vicino alla realtà sulla condizione dell’orfano italiano moderno. Albertini però sa cogliere l’attimo fino a un certo punto, e la scelta di rimettersi agli attori viene in parte penalizzata dalla palese mancanza parziale di alchimia tra lui stesso e gli interpreti principali, Lattanzi su tutti. Il protagonista è infatti troppo perbenino e cerca di arruffianarsi il pubblico nel portare sullo schermo Manuel, vittimizzandolo senza raccontare con il suo corpo la formazione o il peso che porta. Peso che poi in scrittura si riversa sull’aspetto più “gialla” della vicenda, ovvero il tentativo di far ottenere alla madre gli arresti domiciari. Un film drammatico che non è drammatico, quindi, anzi, si sviluppa per piccoli episodi nei giorni immediatamente successivi all’uscita così da svalutare anche la tensione che Manuel prova sapendo di dover gestire a nemmeno 19 anni una situazione così complessa. Il film non trasmette quell’intenso senso din responsabilità di cui il protagonista deve necessariamente farsi carico.
In conclusione, Manuel è un film riuscito solo a metà, riducendosi a una lotta di un ultimo che però non lotta e non è ultimo. Se il soggetto di Albertini ha mosso dei passi in avanti, dagli orfanotrofi alle case-famiglia alla libertà, lo stesso purtroppo non si può dire dello stesso Albertini, che rimane fedele al suo script cerchiobottaro fino alla fine evitando di incidere veramente nella messa in scena, tant’è che preferisce rifugiarsi dietro un realismo inutilmente ortodosso.