Primi anni Dieci del Novecento, Budapest è un focolaio, l’Europa scalpita, l’Impero Austro-Ungarico ha più nemici che sudditi. Da Trieste, Irisz Leiter, giovane donna, dai lineamenti fini e dallo sguardo di fuoco, arriva a Budapest per essere assunta come modista in un celebre negozio di cappelli. In realtà la cappelleria apparteneva un tempo ai genitori, morti quando Irisz aveva due anni. Sola al mondo, ripercorre a ritroso la strada della sua genealogia, ma il posto nel negozio è già stato assegnato a un’altra ragazza dal nuovo proprietario Oskár Brill. Nulla valgono le suppliche di Irisz disponibile a lavorare a anche gratis.

Irisz decide di restare a Budapest, anche perché si era licenziata prima di partire da Trieste. Durante la prima notte sola in città riceve una tenebrosa visita da un uomo che le rivela l’esistenza di un fratello, Kálmán Leiter. Caparbia, nonostante il signor Brill cerchi di persuaderla a lasciar perdere, Irisz si mette sulle tracce di questo sconosciuto fratello. Per le strade di Budapest, che si rivelano pericolose ad ogni suo passo, Irisz viene a conoscenza di una fitta rete di misteri, complotti e antiche leggende.

L’ungherese Láslzló Nemes, classe ’77, vincitore del Gran Premio della Giuria a Cannes e dell’Oscar come Miglior Film Straniero con Il Figlio di Saul, porta in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il suo secondo lungometraggio. Girato in 35 mm – si coglie subito la nostalgica morbidezza della pellicola – Napsállta è immerso in un’atmosfera di inquietudine forse a voler rispecchiare l’epoca drammatica di inizio ‘900.

Dietro la civettuola moda e l’eleganza di un negozio di prestigiosi artigiani di cappelli con velette, fiocchi, tese dalla circonferenza studiata su misura sui volti, si cela un abisso, l’orrore del mondo. Leiter è un cognome che per anni ha rappresentato il simbolo di civiltà. Irisz, tornata nella sua città natale si trova a un bivio, non sa a chi credere nelle scoperte che rivelano una crisi profonda di costumi e di scelte politiche.

Nemes racconta la ricerca della sua identità, delle sue radici, narra le vicende intorno a lei attraverso i volti, le espressioni; è un regista fisico, di primi piani, la sua MdP non si stacca dai profili dei visi, dalle forme del corpo. E come per Il Figlio di Saul usa il genere thriller per rivelare e scoprire sensazioni orribili, improvvise, coraggiose…

Bravissima l’attrice Juli Jakab nel portare sul suo volto il peso di questa storia non facile. Irisz cerca di trovare risposte a quanto successo alla famiglia e comprendere il senso di ciò che le accade intorno. Secondo il regista è anche una sua ricerca per capire la direzione del Mondo. Non è un film facile. Di sicuro non lo vuole essere.