“… poi la strada la trovi da te – Porta all’isola che non c’è”: i bellissimi versi di Edoardo Bennato, cantanti a un certo punto dalla protagonista e insieme a lei dall’uomo al telefono, evocano qualcosa di irreale e magico, proprio come il tempo nel quale si svolge questa vicenda, un tempo sospeso, dilatato e irreale: il tempo del coprifuoco da Covid.
Siamo dunque nel 2020 e il film si svolge interamente (tranne pochissime scene) in piena notte, dentro a un’automobile in viaggio da Roma a Santa Marinella e interamente al telefono. Il film dura tanto quanto occorre per percorrere i 72 chilometri da una località all’altra.

Alla guida c’è Irene (Barbara Ronchi) al cellulare (munita di cuffie!) con il suo ex compagno Pietro (Claudio Santamaria) che la cerca dopo mesi dalla loro separazione.
Il dialogo al telefono diviene, chilometro dopo chilometro, sempre più intenso, profondo, avvolgente e coinvolgente, nel quale si srotola sempre più chiara la storia (e la fine) della loro relazione. Il paradosso è che i due, al telefono, riescano ad ammettere, rivelare e confessare pensieri, sentimenti e fatti che per i molti anni della loro unione non erano mai stati capaci di dirsi apertamente e con onestà.

Il film però non è solo un dialogo viaggiante serrato e avvincente: è anche un thriller sottile e teso e una commedia punteggiata dai piccoli espedienti acuti e audaci che Irene usa per non far capire a Pietro di essere in macchina e per eludere controlli e sanzioni.
Magnifica la prova di Barbara Ronchi, che regge il film in modo straordinario, mentre Claudio Santamaria è solo voce, ma una voce avvolgente, profonda, di grandissima presenza. Presente anche un piccolo cameo di Roberto Citran.

Ispirato dall’omonimo romanzo Non riattaccare di Alessandra Montrucchio, è il secondo lungometraggio del giovane regista toscano Manfredi Lucibello (Firenze, 1984) ed è l’unico film italiano nel concorso internazionale di lungometraggi del 41° Torino film Festival, dove Barbara Ronchi ha ricevuto una menzione speciale della Giuria.
È pur vero che non è questo il primo film che si svolga al telefono e in un unico luogo chiuso. Si veda ed esempio Locke, di  Steven Knight (2013) o  Il colpevole di Gustav Möller che fu presentato nel 2018 proprio al 36° Torino film Festival e ottenne il premio del pubblico. Tuttavia la pellicola di Lucibello non appare in nessun momento una copia di qualcosa di altro e nemmeno un film minimalista, ma semmai un lavoro appassionante che prende le mosse da situazioni attuali e le trasforma in una lezione di vita e di amore.