“L’unica cosa che manca a Suburbicon sei tu!”. E’ lo spot pubblicitario che – sui titoli di testa – invita ogni buon americano (bianco) a trasferirsi in un’artificiosa cittadella di periferia per vivere il vero sogno made in USA. L’incolore Gardner Lodge (Matt Damon) abita proprio qui con la moglie paralizzata, la di lei sorella (Julianne Moore, in entrambi i ruoli) e il figlioletto Nicky. Ma il paradiso è lontano e, mentre una serie di loschi accadimenti coinvolge la famiglia Lodge, i placidi cittadini di Suburbicon si rivoltano contro i primi abitanti neri dell’ipocrita agglomerato urbano.George Clooney torna dietro la macchina da presa e fonde un progetto di fine anni ’90 ispirato a Levittown, vero suburb creato nel secondo dopoguerra in Pennsylvania e destinato esclusivamente a persone di razza caucasica, con una black comedy scritta dai fratelli Coen nel 1985. Se entrambi i soggetti solleticano i migliori istinti cinefili, è la loro sintesi a suscitare qualche perplessità.

La grande metafora dei suburbi covo di mostri insospettabili, di un american way of life che nasconde ipocrisie e falsità non è di certo una novità: declinata alla maniera dei Coen significa una spirale di violenza grottesca capace di intrattenere, divertire e far riflettere. Bianchi, borghesi, retrogradi, insicuri e pronti a nascondere ogni loro inclinazione o desiderio pur di apparire più “normali” dei normali, gli abitanti di Suburbicon rappresentano già di per sé una critica lampante a una certa America bigotta e reazionaria.

Così, quando entra in gioco la questione razziale e i suburbiconesi iniziano a incolpare gli unici neri a portata di mano di qualsiasi malefatta o calamità occorsa in zona, invece di approfondire la natura di questa comunità il film rischia di aprire un altro filone narrativo, dal sapore vagamente posticcio (a causa dell’adattamento “imperfetto” dei due soggetti), per quanto importante e attuale.

LE FOTO DI CLOONEY E DEL CAST DI SUBURBICON A VENEZIA

Ciò che funziona meglio in Suburbicon è di sicuro il divertente girone infernale in cui i protagonisti si cacciano con le loro mani, facendo sempre le scelte sbagliate e ottenendo sempre risultati opposti alle aspettative. La satira resta feroce, anche se non troppo originale, e le mani dei fratelli Coen si riconoscono subito dietro il bizzarro circuito di violenze e coincidenze.

L’impegno civile che Clooney avrebbe voluto mescolare al thriller grottesco costruito attorno alla famiglia Lodge, paradossalmente smorza la carica politica di Suburbicon, che finisce per esplicitare troppo un contesto già ricco di elementi metaforici.