Sulla più piccola delle isole Aran, a qualche miglio dal golfo di Galway, la vita scorre sempre uguale a se stessa. Sferzati dal vento e immersi nelle nebbie, i pochi abitanti seguono un copione ereditato di generazione in generazione, riproponendo relazioni burbere e dinamiche autodistruttive scolpite nella notte dei tempi. Perciò nessuno si turba più di tanto quando, all’improvviso, il riflessivo Colm (Brendan Gleeson) decide di troncare ogni rapporto con l’amico di sempre, il gentile Padraic (Colin Farrell). Tanto irremovibile sembra il primo nel tenere il punto, quanto il secondo intenzionato a capire le motivazioni dell’abbandono. Il viaggio verso la resa dei conti tra i due amici, in un’escalation di violenza prima sconosciuta, segnerà una nuova consapevolezza per entrambi.
Dal bisticcio puerile all’insensatezza della guerra. Sembra un salto quantico invece, grazie al talento di Martin McDonagh, è una stout al tramonto seduti al pub con vista sulle scogliere frastagliate, aspettando un amico che forse non si presenterà. Con un’altra sceneggiatura puntuale come un Patek Philippe, il regista di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri si conferma abile narratore di vicende e personaggi in grado di cogliere sfumature anticonvenzionali in un mondo di banalità.
In The Banshees of Inisherin, la coreografia perfetta del piccolo microcosmo isolano in cui si muovono Colm e Padraic è lo scenario ideale in cui collocare i dialoghi taglienti marchio di fabbrica di McDonagh, inseguendo una costellazione di personaggi disegnati con profondità anche nei ruoli più marginali. Così, con naturalezza, un villaggio prende il respiro di una metropoli, l’isola di una nazione e le posizioni irriducibili di due (ex) amici raggiungono il cuore di una popolazione che sembra avere il conflitto fratricida nel DNA.
Mentre, infatti, la guerra civile irlandese imperversa (siamo nel 1923) in quella che i protagonisti chiamano terraferma, il duello sordo tra Colm e Padraic si esaspera di giorno in giorno senza che l’uno ascolti l’altro, tra gesti estremi e posizioni insostenibili, in una spirale impossibile da disinnescare.
Brendan Gleeson e Colin Farrell sono perfetti e credibili – la sceneggiatura è stata costruita sartorialmente su di loro – nella loro parabola distruttiva in cui le differenze caratteriali e di aspirazioni dei protagonisti non sono mai slegate dalle ancora più concrete somiglianze. Quei punti di contatto che le ragioni della guerra sono sempre pronte a trascurare.