Caduto il muro di Berlino, più di qualcuno pensava che le cose sarebbero cambiate anche a Cuba. Lo credevano i cubani fedeli alla rivoluzione ma spezzati dall’embrago americano; lo speravano gli esuli cubani fuggiti a Miami, Florida. Ma Fidel resiste, gli yankee non mollano e alcune delle associazioni di fuoriusciti più radicali, che dagli States promettono di “aiutare” i cubani sull’isola, intensificano le loro attività, anche militari, per indebolire il regime di Castro.
In questo clima si inserisce una vicenda realmente accaduta e poco nota di spie e terroristi, di patrioti e traditori. La racconta Olivier Assayas, splendido indagatore di relazioni intime e dilemmi personali, ma che dalla ricostruzione puntuale di cronache terribilmente vere, questa volta esce con le ossa rotte, nonostante le buone intenzioni.
Le storie di tre “traditori” della rivoluzione, arrivati a Miami con modi e tempi diversi, si incrociano sul suolo americano. Non è un caso. L’aviatore (Ramirez) che abbandona moglie (Cruz) e figlia perché a Cuba manca tutto, il pilota di caccia (Moura) che diserta per il trattamento riservato a un commilitone e il borsista diplomatico (Bernal) partito con false credenziali portoricane, in realtà, sono tutti parte di un disegno più ampio. Ma chi sono veramente? Traditori o patrioti?
Wasp Network espone i fatti, scandisce gli eventi, mette in fila nomi, date, luoghi. Le vite dei protagonisti, invece, sono solo il contorno di un’indagine che ha l’obiettivo evidente di chiarire come sono andate le cose, di restituire una prospettiva più “equa” alla Storia. D’altra parte, come spesso accade, almeno per noi occidentali, la narrativa è in mano agli americani. E Cuba, di solito, è ancora una volta una vittima.
Dove l’intento umanitario riesce, però, quello cinematografico naufraga sotto il peso di una narrazione frammentaria, episodica ed emotivamente fredda. Ma non siamo sulle coste della Normandia, e il clima latino, così come le vere pulsioni, i dubbi dei personaggi, faticano a emergere, appiattiti da un’inchiesta di cui il regista francese si fa nobilmente portatore, sostenendo le ragioni dei più deboli, ma che non appassiona.
La grande abilità di Assayas nel rendere le sfumature, questa volta, cede il passo a rappresentazioni di figure monolitiche che – nonostante si smentiscano più volte nei fatti – risultano sempre uguali a loro stesse.