Kate e Laura Mulleavy, sorelle fondatrici dell’azienda di moda Rodarte, scrivono e dirigono il loro primo ambizioso film, Woodshock.
Il titolo prende il nome da uno stato di shock che può capitare alle persone che si perdono nel bosco; provoca disorientamento e reazioni caotiche e irrazionali. Le due sorelle partono da questo e dai luoghi della loro infanzia a Santa Cruz, California, tra maestose sequoie, per sviluppare il tema dell’isolamento, del dolore, della depressione e della solitudine. Il tutto raccontato attraverso la coscienza delle protagonista, interpretata da Kirsten Dunst, amica e musa delle due registe.
Theresa (Dunst) è una giovane donna che, dopo la morte della madre, inizia a perdere il senso della realtà. L’assunzione pesante di cannabis non aiuta la percezione di Theresa. Sappiamo che da piccola si era persa nel bosco vicino casa; vuole continuare a vivere lá, anche dopo la morte della madre, perché sa che è quello che voleva. Il povero fidanzato prova ad aiutarla, ma Theresa procede a modo suo, rifugiandosi dentro il fumo delle canne usate a scopo medicinale.
Il film vorrebbe andare a sondare il subconscio e mostrarlo con gli occhi di Theresa, come dicevamo. In realtà le due sorelle registe hanno dato eccessiva importanza ad un uso borderline delle immagini pensando che fosse poi scontato capire il flusso di sentimenti.
Woodshock è un film nebuloso e autoreferenziale. Ci si perde sbuffando dentro i viaggi mentali di Teresa, che lievita tra le sequoie, pianta pali, immagina cose e persone, corre nel bosco, … Le Mulleavy devono aver confuso il cinema con qualche performance artistica da passerella. Manca la passione per la narrazione, intesa come dono per gli altri di una storia.