Sobrio e simbolico, Yogoto di Aya Miyazaki è un corto incentrato sulle dinamiche di coppia, di cui ci svela le zone d’ombra e l’incomunicabilità che spesso viene a instaurarsi tra i partner. Una giovane donna, vittima di abusi da parte del compagno, fa la conoscenza di un uomo mai visto prima che sembra in grado di offrirle una via di fuga dalla sua prigione tra le mura domestiche.
In controtendenza rispetto a gran parte delle opere presentate in questa edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, Yogoto si connota per un taglio intimista e psicologico piuttosto che narrativo e affida a movimenti di macchina – utilizzata con estrema maturità e con variazioni di campo pregne di significato – e parallelismi interni il compito di spiegare la situazione del personaggio principale.

I segni sul collo della protagonista e la sua ritrosia – cicatrici delle violenze subite –, il vorticare dello scarico della doccia – che sta a indicare il circolo vizioso di cui è preda, ma a cui poi decide di sottrarsi, come si evince dal suo atto di rimuovere i capelli che lo ostruivano – , la distrazione con cui versa fuori del bicchiere le bevande – che testimonia la sua alienazione – e molti altri piccoli gesti rivelano una complessa architettura e moltiplicano gli spunti di analisi.
La Miyazaki porta quindi in scena un dramma che è in tutto e per tutto umano, senza ricorrere a effetti patetici e facendo affidamento sul montaggio per rendere un regime temporale di perenne stasi, in cui le parole perdono di significato a favore di quei comportamenti – apparentemente insignificanti – che costituiscono invece l’unica chiave di lettura dell’interiorità dell’individuo.