Storie di uomini e lupi, di un rapporto complesso eppure inevitabile; storie di una natura primordiale che ritorna, piano piano, nelle vite urbanizzate della nuova umanità, e che chiede appuntamento: un Rendez-Vous 2200, appunto, come recita il titolo dell’ultimo lavoro della compagnia Trentospettacoli, che debutterà venerdì 25 novembre (ore 21) al Teatro Cuminetti di Trento.
Lo spettacolo nasce nell’ambito del progetto Lifewolfalps, che ha l’obiettivo di realizzare azioni coordinate per la conservazione a lungo termine della popolazione alpina di lupo. Una conservazione che ha a che vedere con la convivenza, anche, e con il rispetto della specificità del lupo: l’essere un animale selvatico. Perché, come ricorda la compagnia citando il Re Lear di Shakespeare, “è folle chi si fida della docilità del lupo”: ricordarsi della sua specificità significa rispetto delle peculiarità, senza l’idea di “dover addomesticare ogni cosa, e che tutto possa essere riportato in una dimensione che va bene agli uomini”. Ne parliamo con Maura Pettoruso, autrice del testo e protagonista in scena con Stefano Pietro Detassis e Sara Rosa Losilla, diretti da Lorenzo Maragoni.
Partiamo dal titolo: rendez vous significa appuntamento, e parlando di lupi assume anche il concetto specifico di luogo sicuro di ritrovo del branco; il 2200 invece cosa indica? Un anno nel futuro?
C’è un doppio gioco: principalmente quel 2200 lo possiamo intendere come un’altidudine a cui potrebbe essere credibile la presenza del lupo; ma possiamo anche ipotizzare che il rendez vous a cui assistiamo durante lo spettacolo non avvenga nel presente ma in un tempo futuro, il 2200 appunto. Questo perché una delle riflessioni dello spettacolo è il fatto che il lupo rappresenta un quesito, una criticità rispetto al nostro rapporto con l’ambiente. Viviamo in un’epoca in cui l’uomo ha un impatto notevole sull’ambiente e sulle specie che lo vivono; gli scienziati affermano che siamo molto vicini a una criticità reale rispetto alla sostenibilità ambientale: tutti questi ragionamenti mi hanno portata a provare a porre una riflessione sul futuro, piuttosto che sul presente, attraverso il lupo.
Nello spettacolo i protagonisti sono tre: un biologo, una fotografa, una turista. Come mai la scelta di questi personaggi? E come mai l’assenza degli antagonisti del lupo per antonomasia, cacciatore e allevatore?
Vivo a Trento, ma sono una persona molto “cittadina”. Se non avessi avuto l’occasione per lavoro di incontrare il lupo e di scoprire determinati temi, probabilmente questa problematica non mi avrebbe mai avvicinata. Quindi è come se avessi avuto l’esigenza di mettere in scena un personaggio (la turista) che probabilmente non si sarebbe mai posta un quesito sulla presenza del lupo se non rispetto a questioni ataviche – il lupo fa paura, da Cappuccetto Rosso in avanti. Avevo bisogno di mettere in scena un personaggio completamente ignorante sul tema per poter sviscerare delle problematicità. Dall’altra parte troviamo il biologo, un personaggio che invece conosce il tema da un punto di vista scientifico; e poi c’è un personaggio tramite, che è la fotografa, che è funzionale ad una riflessione più ampia. Che è la seguente: studiando, leggendo, confrontandomi con molte persone per preparare lo spettacolo, ho avuto la percezione che il racconto mediatico del ritorno del lupo sia un punto fondamentale nei confronti della problematicità del lupo. Siamo sempre molto antropocentrici: tutto quello che facciamo è sempre un ritorno rispetto a noi stessi, per cui il lupo è oggetto di discussione, di frattura, di non dialogo tra varie parti, anche a livello politico e molto a livello mediatico.
E quindi mi interessava che ci fosse qualcuno che rappresentasse questo mondo: un mondo che utilizza il lupo e lo riporta sui giornali filtrandolo attraverso necessità di entità economica, di spostamento di categorie, dove il lupo è e continua ad essere un capro espiatorio, come è stato per tantissimi secoli.
In scena non ci sono né un allevatore, né un cacciatore, cioè gli stakeholder principali riferiti al lupo, ma comunque ne parliamo; il problema viene sviscerato dai protagonisti, che prenderanno anche posizione. Però avevo bisogno di poter parlare del lupo e di cosa significa il lupo per l’essere umano, mettendo in confronto ambiente e società, selvaggio e civilizzato; se invece avessi messo in scena o un allevatore o un cacciatore, in relazione con il lupo come antagonisti, avrei avuto un’unica linea narrativa; ma dato che una delle sfide dello spettacolo è parlare a un pubblico che non ha conoscenza del lupo, ho preferito portare la vicenda a un livello che potesse riguardare tutti.
Pochi spettacoli teatrali affrontano il tema della natura selvaggia, che viene invece affrontato spesso dai documentaristi. Lo fanno spesso in modo spettacolarizzato, contribuendo a sottolineare un contenuto orrifico e mostruoso della natura, poco utile al recupero di una inclusione dell’uomo nella dimensione naturale del nostro pianeta. Come affrontate in questo spettacolo il tema della natura? E come parlate della paura e della violenza?
Sono due punti fondamentali dello spettacolo. Inannzitutto c’è stata la scelta di collocare questo spettacolo in alta montagna: nell’ambiente meno naturale per l’uomo e più naturale per il lupo. Siamo in mezzo alla natura; ma è una natura che, sia scenicamente che registicamente, costruiamo come finta: perché la natura è totalmente civilizzata, e vivendo in Trentino questo lo si percepisce nettamente. Il concetto di wilderness, cioè degli spazi selvaggi, qui non esiste più: bisogna andare nelle grandi praterie americane per ritrovarlo in qualche modo. Come mi ha detto un rappresentante del WWF, “siamo abituati a una natura che è un parco giochi, il nostro parco giochi naturale”; è chiaro che se consideriamo la natura in questo modo, non c’è spazio per nessun altro, perché in un parco giochi non siamo disposti né pronti ad affrontare pericoli. La nostra relazione con l’ambiente oramai è unilaterale: la turista ha un rapporto con l’ambiente da “cittadina” ma è anche priva di tutte quelle misure di sicurezza che bisogna adottare in ambiente naturale, perché da per scontato che sia- e debba essere – alla sua misura.
Il lupo rappresenta in tutto questo un archetipo, un capro espiatorio. Il lupo è considerato l’animale selvaggio e pericoloso da sempre, nonostante nei fatti sia uno degli animali meno pericolosi per l’uomo: anzi ha molta paura dell’uomo. Ma dentro di noi l’idea che il lupo rappresenti un negativo, grazie anche alla letteratura, alle strumentalizzazioni della chiesa persino, ha fatto si che nei secoli sia diventato simbolo del male: ce l’abbiamo dentro la nostra testa, ed è la cosa più difficile da scardinare. Gli stessi biologi e etologi che lavorano a stretto contatto con i lupi mi hanno raccontato che, nonostante la loro conoscenza e consapevolezza del tema, quando hanno incontrato il lupo – casualmente, perché il lupo fa di tutto per non incontrarti – hanno provato paura.
Questa cosa nasce da un concetto legato alla commestibilità: i grandi predatori, che poi in Europa sono pochissimi, ci ricordano che anche noi siamo mangiabili. Nello spettacolo cerchiamo di dare voce a queste paure, che sono però interiori, non determinate da agenti esterni: c’è una scena in cui, tramite la superstizione e l’ambientazione buia nel bosco, queste paure interne vengono a galla come un’autosuggestione. Il lupo, così come il selvaggio, rappresentano qualcosa che noi stessi di noi stessi abbiamo paura: verso il diverso, verso ciò che non conosciamo, verso quella parte di noi che cerchiamo di contenere dentro determinate regole sociali, e che in determinate situazioni può esplodere al di là del nostro controllo. Ho cercato di fare una trasposizione tra cos’è il lupo fuori, cercando di capire cos’è il lupo dentro. Tutto questo in maniera naturalistica, nel senso che è comunque uno spettacolo di prosa, però cercando di scardinare quella paura, quell’odio, quel rifiuto che abbiamo verso il lupo – o verso l’altro. Abbiamo fatto uno spettacolo sul lupo, ma il lupo è il grande assente: continuiamo a parlare di noi, attraverso di lui.
Rendez-Vous 2200 nasce da una convergenza insolita, dalla collaborazione tra soggetti molto diversi: una compagnia teatrale e un progetto – Lifewolfalps appunto – che si occupa del monitoraggio del ritorno del lupo e della diffusione di pratiche per una corretta convivenza. Come è avvenuto questo incontro?
Il Muse, museo delle scienze di Trento, è stato incaricato da Lifewolfalps di occuparsi dell’aspetto comunicativo del progetto; tra le varie azioni di comunicazione si è deciso di optare anche per uno spettacolo teatrale. Il Muse ha contattato il Centro Santa Chiara di Trento, che ha individuato noi. Dopodichè io ho iniziato a collaborare con il Lifewolfalps, che mi ha messa nelle condizioni di poter davvero comprendere la questione, con sopralluoghi sia in Lessinia che in Piemonte, ma anche incontrando persone di tutte le parti in causa: pro e contro, politici, ambientalisti, pastori. Ognuno ha potuto dire la sua; e credo che sia un modo di lavorare molto intelligente perché mantiene di fondo questo concetto: far passare non una falsità, non una non problematicità, ma recuperare un pensiero critico su questa problematicità.
Per informazioni: http://www.lifewolfalps.eu/news/rendez-vous-2200-lo-spettacolo-teatrale-life-wolfalps/