Unico italiano in corsa per quest’edizione delle Giornate degli Autori, 5 è il numero perfetto rappresenta la prima, riuscitissima incursione nel lungometraggio dal vivo di Igor Tuveri – in arte Igort –, che con un adattamento certosino della light novel omonima porta sul grande schermo un noir d’ambientazione partenopea amaro e lirico, firmando un cinecomic degno di questo nome.
Dopo una vita da gregario, Peppino – Toni Servillo – si sta finalmente godendo la vecchiaia, finché qualcuno non gli uccide a tradimento l’adorato figlio Nino. Ripresi i contatti con il compagno d’arme Totò – Carlo Buccirosso – e la vecchia fiamma Rita – Valeria Golino –, il nostro eroe si farà strada a suon di pallottole per avere la testa dell’assassino. Ma gli anni iniziano a farsi sentire…
Costato più di otto anni (1994-2002) di lavoro, al momento della sua uscita 5 è il numero perfetto fece gridare al miracolo gli estimatori della bande dessinée, in attesa di un vate – oltre a Gipi, s’intende – che si cimentasse nella realizzazione di un romanzo a fumetti autoctono in grado di rivaleggiare con quelli dei maestri francesi e americani. Inutile dire che Igort era il candidato ideale, un raro esemplare di artista a metà tra Oriente e Occidente: da un lato l’attenzione per il dettaglio – che l’ha portato a diventare uno dei primi esponenti del gaijin manga, a oggi il solo in Italia a vantare una serializzazione con una casa editrice giapponese, ovvero quella di Yuri (1994) con la Kodansha –, dall’altro la volontà di sperimentare con soluzioni stilistiche poco ortodosse, talvolta quasi sovversive; da un lato il gusto per la divagazione e il memoir – come testimoniato dai suoi numerosi Quaderni in stile zuihitsu, rispettivamente ucraini, russi, giapponesi 1 e 2 –, dall’altro la passione per il buon cinema e i suoi archetipi narrativi. È da questo compresso che vide la luce l’opera in questione, una storia di camorra imbevuta dei luoghi e del folclore di Napoli che si sposava con una tricromia bianco/nero/azzurro più vicina alla prassi nipponica che ai colori sgargianti della produzione del vecchio continente.

In virtù dello stretto legame dell’originale col genere gangster, non c’era quindi bisogno di particolari accorgimenti registici o cambi di prospettiva, eccezion fatta per la rinuncia alle scelte cromatiche di cui sopra: la pellicola è infatti quasi uno shot for shot – con tanto di inframmezzi tra un capitolo e l’altro che riprendono il frontespizio di quelli della versione cartacea – i cui interpreti, nessuno escluso, vestono perfettamente la maschera dei propri personaggi, garantendo allo spettatore un’immersione in quel «paradiso abitato da diavoli» a metà strada tra la denuncia e la dichiarazione d’amore.
Oltre a offrire una lezione di stile con le sue carrellate e le sparatorie elegantemente coreografate, 5 è il numero perfetto dispensa anche qualche piccola lezione di vita, affidata al tono faceto ma sincero di Peppino/Servillo come si addice ai grandi narratori: vivere «come si beve un liquore forte, sentendo la botta ma senza riuscire a capirne il sapore», non farà che portarci lontano dal percorso che il destino ha tracciato per noi. Ritorna insomma l’esegesi tarkovskijana del tempo tanto cara a Igort, che sul lavorare piano e bene ha fondato la deontologia dei suoi progetti editoriali – Coconino Press prima e Oblomov Edizioni poi – e il suo senso estetico.
Ventata d’aria fresca nel panorama produttivo nostrano sempre più sclerotico, l’esordio di Igort – che pure si concede un cameo nella scena finale sull’autobus, intento a leggere l’edizione serale della sua Eco di Papassinas – lascia ben sperare, con l’augurio che quella per la settima arte non sia solo un’infatuazione passeggera.