Blaga è un’anziana insegnante in pensione in una cittadina della provincia bulgara. Vedova da poco, con un figlio emigrato in America, ha messo da parte tutti i suoi risparmi per assicurare una piccola tomba monumentale al suo marito deceduto da poco e a sé stessa. Quando quei risparmi le vengono rubati da una banda di malintenzionati con una truffa telefonica, di fronte alla sostanziale impotenza della polizia decide inaspettatamente di proporsi ai criminali come complice…
Stephan Komandarev, 57 anni, è uno dei registi bulgari più noti all’estero, con all’attivo una lunga serie di film sia documentari che di fiction presentati e premiati ai più importanti festival europei. Quest’anno porta al concorso principale di Karlovy Vary la terza parte di un’ideale trilogia iniziata con “Directions” (2017, selezionato per la sezione Un certain regard di Cannes) e proseguita con “Rounds” (2019, con debutto al Festival di Sarajevo), il cui filo conduttore è la difficile quotidianità in una Bulgaria odierna che può fungere da specchio per diversi paesi dell’ex blocco sovietico, tra crisi economica, piccola e grande criminalità, emigrazione, assenza di senso nel presente e incertezze sul futuro.
Se nei due precedenti lavori Komandarev si era concentrato, con incursioni nei generi del road movie e del film a episodi, sulla capitale Sofia e sulle generazioni nate a ridosso della famigerata e apparentemente infinita ‘transizione postcomunista’, in “Blaga’s lessons” ci spostiamo invece là dove i problemi endemici che affliggono i comuni cittadini risultano ulteriormente amplificati, cioè nella periferia di un paese povero, considerato anch’esso periferico nel contesto generale dell’Unione Europea di cui fa parte da oltre 15 anni (a poco vale il colossale monumento in cima alla collina che sovrasta la piccola città di Shumen, grigio e squallido residuo del passato eretto durante la parabola discendente della Bulgaria comunista per celebrare i fasti del grande regno bulgaro di 1300 anni or sono). E il film, differentemente dalle diverse storie intercettate dai tassisti e dalle pattuglie di poliziotti degli altri due lungometraggi, ha un’unica protagonista su cui l’azione si impernia dalla prima all’ultima scena, e che stavolta è una pensionata interpretata dalla bravissima Eli Skorcheva, stella del cinema bulgaro degli anni ’70-’80.
In un certo senso Eli Skorcheva, che non era riuscita a trovare un suo spazio nel mercato cinematografico della nuova Bulgaria degli anni ’90, ha qualcosa in comune con il suo personaggio: Blaga è infatti una settantenne di buon cuore al di là delle fisiologiche rigidità dovute all’età e alle traversie biografiche, che ha trascorso buona parte della sua vita nella Bulgaria comunista, formandosi e formando (ha insegnato per tanti anni letteratura bulgara a scuola) secondo una determinata scala di valori poi implosa, e condividendo la sua esistenza con un marito poliziotto che “credeva più a Lenin che a Gesù”. A maggior ragione le risulta arduo integrarsi in quella che, come ripete fino alla nausea il cinico e avido impiegato delle pompe funebri, è da tempo una “economia di mercato” come l’America in cui il figlio emigrato di Blaga lavora sodo come corriere. Tutto, dunque, può e deve essere comprato, a prescindere dalla provenienza dei soldi, che nel film vediamo spesso sotto forma di anacronistici ma emblematici mazzi di banconote, di quelli che gli anziani timorosi tengono nascosti sotto al letto. Ma i soldi scarseggiano per molti, e soprattutto per i numerosi anziani ex dipendenti pubblici, costretti (e questa è una triste realtà in tutto l’Est Europa) a sopravvivere con pensioni letteralmente da fame che li obbligano a sbarcare il lunario a oltranza con occupazioni più o meno umilianti per garantirsi un minimo di sicurezza: a parte le lezioni private che Blaga cerca di impartire, parla da sé la sua ex collega, goffa e disperata alla cassa di un supermercato. Le banche non concedono prestiti, e l’unica alternativa è affidarsi a veri e propri strozzini che si spacciano però per compagnie private di credito, come si nota nelle orgogliose affermazioni dell’ex alunno poco brillante di Blaga, ora sedicente “consulente finanziario”.
Dei pensionati soli, dei “nostri genitori e dei nostri nonni” come ha detto il regista alla presentazione del film, ben pochi hanno rispetto, il che è ben dimostrato dal giornaletto scandalistico dove esce l’articolo denigratorio sulla povera Blaga e sulla sua ‘demenza senile’. Come se non bastasse, proprio loro sono l’usuale bersaglio di truffe organizzate da delinquenti che, in fondo, reagiscono solo alla precarietà generale cercando il denaro facile (“Che vita del cazzo, eh?” dice al telefono il criminale a Blaga, che si è appena offerta, sotto mentite spoglie, di fungere da ‘mula’ con la macchina del defunto marito, quasi facendo tragicomicamente il verso all’onesto lavoro del figlio corriere, “Ma bastano due minuti per prendersi quello che alcuni guadagnano in un mese”). In un microcosmo dove la logica dell’homo homini lupus e quella del pesce grande che mangia il pesce piccolo sembrano diventati la norma, e la polizia a corto di risorse e i politici lassisti possono fare ben poco a parte blandire gli elettori con pacchi regalo per Pasqua, Blaga spinta dall’esasperazione decide di giocare le regole del gioco di cui è vittima, prima senza rendersene bene conto, poi, nonostante la paura, con sempre maggiore cinismo e coscienza di ciò che sta facendo.
Senza smentire lo stile che aveva caratterizzato i suoi lavori precedenti, nel raccontare la storia di Blaga Komandarev mantiene lungo tutto il film un tono drammatico (ben accentuato dalle tinte opache della fotografia di Vesselin Hristov) costantemente venato di umorismo nero viste le pieghe assurde della situazione della protagonista, a cominciare dalla sua ossessione per la bella tomba dove seppellire il marito e, poi, anche lei stessa, quasi a mo’ di inconscio desiderio di abbandonare al più presto un mondo che ormai le è profondamente estraneo e ostile. Si ride per non piangere, guardando la storia di Blaga e degli altri abitanti di Shumen, e lo si fa seguendo i risvolti di una sceneggiatura forse sin troppo curata ‘a tavolino’ con facili simbolismi per mantenere la giusta tensione, affezionarsi alla protagonista nonostante la sua ambiguità, godersi le gustose figure di contorno che completano questo stralunato affresco bulgaro.
Chiudendo il cerchio della trilogia di Komandarev a distanza di un quinquennio, non si scorge molta speranza per la Bulgaria del XXI secolo. L’unica speranza la ripone la giovane immigrata siriana arrivata nei Balcani per scappare da una guerra decennale, perché, rispetto alle bombe e ai rifugi antiaerei in cui è cresciuta, i grattacapi bulgari sembrano quisquilie. Purtroppo, proprio nel giorno in cui riceverà l’agognata cittadinanza realizzando il suo ingenuo sogno europeo, sarà lei a pagare le spese della deriva disumana che Blaga, volente o nolente, ha dovuto prendere.