Polonia, 1987. Il sindacato indipendente di Solidarność ha sempre più peso e i giovani polacchi percepiscono già l’imminente cambio radicale di rotta che li aspetta. A Danzica la ventenne Ela, affetta da un disturbo bipolare e per questo a disagio nel soffocante ambiente familiare dove vorrebbero disciplinarne le pulsioni anomale, trova sé stessa nelle attivissime cerchie culturali ‘sotterranee’ in riva al Baltico, dove si manifesta una vitalità irrefrenabile tra musica punk, installazioni d’arte contemporanea, alcol e sesso…
È quasi un musical, questo secondo lungometraggio della quarantenne polacca Olga Chajdas scritto insieme alla carismatica attrice protagonista Lena Góra e presentato a Karlovy Vary all’intero della sezione competitiva Proxima: la travolgente colonna sonora, comprensiva di potenti pezzi new wave, post-punk o variamente alternativi che in qualche modo imparentano la Polonia di fine anni ’80 con la coeva Gran Bretagna, fa da sfondo a quelli che sono forse i momenti più riusciti del film, dove in un’atmosfera da visionario videoclip vengono appunto resi gli umori elettrizzanti dei ventenni al di là della cortina di ferro due anni prima che i muri europei fossero, finalmente, abbattuti. A tratti sembra davvero di entrare nelle fabbriche abbandonate sul porto di quella che oggi è la ‘Tripla città’ del Baltico (formata dagli agglomerati urbani di Danzica, Gdynia e Sopot) e immergersi tra gli entusiasmi di una generazione che, in Polonia come in Unione Sovietica e negli altri paesi del Patto di Varsavia, negli anni ’80 aveva trovato la più radicale e dirompente forma di protesta nel disimpegno politico affiancato da una creazione artistica provocatoria e fuori dagli schemi, in barba alla censura e ai dettami dell’arte ‘ufficiale’. In maniera non dissimile, d’altronde, i loro coetanei britannici protestavano nello stesso periodo contro i cinici eccessi del liberismo e del capitalismo.
Le parti non prettamente musicali risultano più discontinue e altalenanti, ed è un peccato perché a risentirne è la figura multiforme di Ela Góra, performer realmente esistita nonché madre della già citata Lena che la interpreta sullo schermo (la battuta finale, dove la protagonista dice alla figlia neonata di voler fare un film in cui figurino tutte e due, è dunque una sorniona strizzata d’occhio). Ela è forte e fragile insieme: appassionata di meditazione e discipline esoteriche orientali (altro tabù per l’atea e materialista Polonia di allora, nonché altra moda in voga tra i giovani outsider), ha una verve creativa inesauribile ed è tormentata dai demoni interiori dovuti a un disturbo ancora poco conosciuto e nettamente stigmatizzato, tant’è vero che all’inizio la vediamo chiusa in un ospedale psichiatrico come succedeva a molti anticonformisti cui stavano strette le norme di comportamento da bravi cittadini di uno Stato socialista inculcate a scuola e tra i mobili cupi di angusti appartamenti in case tutte uguali; fa la ribelle, ma allo stesso tempo è legata alla sua famiglia; si innamora di diverse persone nello stesso momento senza apparente contraddizione. Purtroppo, l’incedere confusionario e sconclusionato della storia, che pure fa il paio con gli sbalzi d’umore e i gesti imprevedibili di Ela, non permette di apprezzarne al meglio tutte le sfaccettature. Questo nonostante si sia cercato di ordinare l’incandescente materiale narrato secondo una struttura tripartita: una prima parte in cui viene restituita la grigia ordinarietà dove l’incompresa Ela cerca invano di scavarsi una propria nicchia; una seconda parte in cui Ela trova il suo elemento diventando una stella del post-punk locale, all’insegna del divertimento più sfrenato; e per finire un ultimo ‘atto’ in cui Ela si scopre incinta e deve fare i conti con le incombenze concrete che, se le consentiranno di trovare un ancoraggio concreto nella realtà, metteranno però fine alla sua esaltata esperienza artistica.
Ad ogni modo, a fine visione rimane lo spaccato vivido, anzi l’“immagine”, per fare il verso al titolo del film, di anni decisivi per la storia europea filtrati dai loro irrequieti protagonisti, ancora ignari sia dell’effettivo peso dei mutamenti sociali in arrivo, sia delle difficoltà che subentreranno una volta passata la sbornia del cambiamento.