Kasa Branca, di Luciano Vidigal
Rio de Janeiro e una favela. Atroce e magnifica: luogo di degrado, povertà e delinquenza ma anche di aggregazione, solidarietà, amicizia; e come punto di partenza per una rinascita. E viene in mente – come non potrebbe – Napoli: con Secondigliano, Scampia, Forcella..
Il regista e i protagonisti di Kasa Branca sono figli di questa favela, afroamericani di origine umilissima, che hanno trovato il loro riscatto, loro e della loro cultura, grazie alla volontà unita a qualche buon programma culturale dello Stato del presidente Lula.

Qui la favela (siamo a Chatuba) è anche un ponte tra generazioni. Per il giovane André (per gli amici semplicemente Dé), disoccupato e gravemente obeso, tutta la sua famiglia è Almeinda, la nonna. Ormai malata di Alzheimer, in pratica un vegetale, la nonna è però una presenza, la storia di tutta una vita. Dè la cura con un amore e una dedizione ammirevoli e straordinari, segno che il suo attaccamento alla nonna è sincero e profondo. Per la nonna però non ci sono più speranze di miglioramento e il nipote organizza per lei passeggiate e gite – le ultime – nei luoghi che la donna aveva amato durante la sua giovinezza. Uno di questi è la luoghi è il Corcovado, dalla quale il panorama su Rio è da mozzare il fiato.
Nel film i protagonisti, oltre alla nonna, sono ragazzi e ragazze; soli: con le loro paure, incertezze, amori, speranze e sogni; con il loro destino. Con la musica e le canzoni che li fanno sentire un’anima unita e solidale. Ma anche con qulle ironia che si vede fin dal titolo del film, con quel riferimento a una casa che sì è bianca ma di certo non è la baracca dove vivono i protagonisti.
Gli altri adulti, ossia i genitori, sono assenti oppure sono presenze aliene, quasi estranei, coinvolti nella società del “far soldi” o retrocessi a perdenti incapaci di fornire qualunque supporto o esempio positivo.

Significativo il fatto che gran parte della cultura che caratterizza il Brasile, dalla capoeira al samba al famoso carnevale, nascano proprio nelle favelas, dall’incrocio della cultura indigena con quelle africane; cosicché nel momento della morte si sceglie il rito legato alla religione dell’Africa, anche se in verità non racconta cose poi tanto diverse da quella cristiana.
Questo piccolo, prezioso film, partecipa al concorso per lungometraggi di finzione del 42° Torino Film Festival; 22- 30 novembre 2024.