Unico film italiano in lizza per il Prix du Public UBS, Amori che non sanno stare al mondo è l’ultima fatica dell’affermata Francesca Comencini, negli ultimi tempi sotto i riflettori per la coregia della serie Gomorra e che dopo cinque anni torna a parlare d’amore con un film di fiction.

ClaudiaLucia Mascino – non riesce ad accettare il fatto che FlavioThomas Trabacchi –, l’uomo col quale pensava di trascorrere il resto dei suoi anni, l’abbia lasciata: entrambi docenti universitari non più nel fiore degli anni, la loro relazione si è conclusa a causa del carattere instabile di lei. Ma se Claudia proprio non riesce a dimenticare l’ex, quest’ultimo è di tutt’altro avviso e sta anzi per sposare una ragazza molto più giovane di lui: saranno l’amica di sempre e una nuova fiamma – per quanto fugace – a salvarla dalla depressione e normalizzare il suo rapporto con Flavio.

Adattamento del romanzo omonimo della stessa Comencini pubblicato nel 2013, Amori che non sanno stare al mondo si presenta come una commedia romantica colta che contrappone la genuinità del sentire femminile al gretto calcolo maschile. Il film va dritto al punto, e non trascorrono nemmeno dieci minuti che subito si viene sommersi dagli affari di cuore del personaggio principale: Claudia è una donna brillante che dice quello che le passa per la testa senza troppi convenevoli, e proprio questo ha fatto si che il compagno, in cerca di stabilità o forse solo di un carattere mansueto, l’abbandonasse.

Non diversamente da quanto visto nel recente Girotondo di Tonino Abballe – e purtroppo, è il caso di dirlo sin da ora, il livello è quello – non si fa che parlare di amore senza mai darne però una vera definizione o semplicemente delineare un rapporto di coppia credibile. Le figure di Claudia e Flavio sono caratterizzate secondo schemi propri della letteratura sentimentale di second’ordine: l’una passionale, diretta, infervorata, vive una tragedia contemporanea combattendo una sorta di gigantomachia non si sa bene contro chi; l’altro pacato, disgustosamente borghese nel suo salvare le apparenze, egoista e affettuoso solo quando gli fa comodo.

Ma l’analisi della Comencini assurge – o meglio vorrebbe, visto che di analisi non ve ne è traccia – alla sfera politica, affrontando la questione della disparità tra i sessi: oltre all’espediente di far ribadire a Claudia i suoi principi femministi in conversazioni impegnate – e pure qui si scorge un vizio della sceneggiatura, per il fatto che di intellettuale e femminista questi “dibattiti” hanno solo la patina – , vi è infatti una scena onirica in bianco e nero in cui le donne sino ad allora apparse nella pellicola si trovano ad attendere il corso di Principi di economia etero-capitalista impartito da un’androgina professoressa biancovestita. Durante la lezione, viene calcolata l’età reale delle donne in base ai pregiudizi che gli uomini avrebbero nei loro confronti, per poi prorompere in una danza dissacrante di questa mentalità malata cui si contrappongono i filmati di repertorio, ricorrenti senza alcun criterio in diversi punti della pellicola e che mostrano uomini e donne di altri tempi condurre un’esistenza più paritaria.

La Comencini sembra voler cercare l’eccesso anche dal punto di vista tecnico, proponendo scene di sesso sia etero che omosessuali che lasciano poco all’immaginazione ma posticce e mal girate, senza azzardarsi a scivolare sui corpi in movimento con la macchina da presa; sempre in questo senso vanno intesi i close-up, come quello estremo del capezzolo della Mascino, gratuito e fine a se stesso.

Il comparto attoriale dal canto suo non fa di meglio, offrendo una pessima prestazione soprattutto per quanto compete gli attori protagonisti e che risulta salvabile solo per alcuni comprimari.

Amori che non sanno stare al mondo è insomma un’opera che non ha coerenza e nemmeno sostanza, incredibilmente pretenziosa nel tono colto e velleitariamente politico, per non dire degradante nel ritratto che offre dell’universo femminile, come se tutto si potesse ridurre a una serie di opposizioni binarie.