Il primo film da regista di Giuseppe Fiorello è dedicato a Giorgio e Antonio, vittime del delitto di Giarre, in provincia di Catania, uccisi nel 1980 perché si amavano. Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola scomparsi da due settimane, furono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola alla testa: “Questa mia prima regia nasce da un articolo che ricordava il trentennale del delitto Giarre, un caso che non conoscevo. Mi è scattato così un grande senso di colpa: mi sentivo, in quanto siciliano, corresponsabile di quello che era successo.”
Siamo in Sicilia 1982, durante l’estate dei Mondiali.
Gianni e Nino hanno diciassette anni, si incontrano per caso, fanno amicizia, e giorno dopo giorno scoprono un legame più forte. Si innamorano con il trasporto di quell’età, il loro è un sentimento vissuto con naturalezza, spontaneità. Ma la società, le famiglie soprattutto non possono accettare il loro amore.
Scritto da Fiorello insieme ad Andrea Cedrola e Carlo Salsa, Stranizza D’Amuri racconta con tenerezza l’incontro di due ragazzi, e con dolore l’avversità feroce che incontrano negli ambienti che frequentano.
Stranizza D’Amuri (che prende il titolo da una canzone di Franco Battiato) è interpretato dai due giovani attori, Gabriele Pizzurro (Nino) e Samuele Segreto (Gianni), con rara delicatezza e raffinata morbidezza di sguardi e toni.
Tuttavia pecca nella lunghezza di due ore e dieci. Il film patisce lo sguardo iniziale (sembra non finire mai) poetico e un po’ ingenuo del regista che si perde e dilunga in inquadrature panoramiche e di dettagli scontati o superficiali.
Resta comunque e soprattutto, al netto di alcune – ripetiamo – sequenze bucoliche non indispensabili, un bel film. È una storia necessaria da raccontare e ricordare, soprattutto in questi tempi dove odio e intolleranza, e voci verbali declinate al machismo stupido stanno prendendo il sopravvento.