Come con Boardwalk empire nel 2010, la HBO sei anni più tardi dà alla luce un’altra serie dalle forti ambizioni, puntando nuovamente su Terence Winter, formatosi ne I Soprano e salito definitivamente alla ribalta in qualità di creatore, appunto, di Boardwalk empire e sceneggiatore di The Wolf of Wall Street. La serie in questione è Vinyl, che segue le vicende dell’etichetta discografica American Century Records di New York e del suo fondatore, Richie Finestra, negli anni ’70, a cavallo tra l’ascesa di nuovi idoli musicali e gli eccessi del tempo.
Di nuovo analogamente a Boardwalk empire, anche il pilot di Vinyl è stato girato da Scorsese, che assieme a Mick Jagger e Rich Cohen ne è anche il creatore. Nel ruolo del protagonista Richie Finestra abbiamo Bobby Cannavale (fattosi notare per l’eccellente interpretazione di Gyp Rosetti sempre nella serie gangster) accompagnato da un cast con una solida reputazione: il veterano Paul Ben-Victor, l’emergente Juno Temple, e infine Olivia Wilde, al suo ritorno come regular in una serie dopo Dr. House, M.D.).
Il plot
Nel ’73 la American Century Records, un tempo sulla cresta dell’onda, è ora in grave crisi, al punto che i quattro dirigenti (Richie, e i collaboratori e amici Clark, Zak, Scott) sono sul punto di venderla alla PolyGram, interessata all’acquisizione dell’azienda solo per via della voce di un contratto con i Led Zeppelin che si sarebbe firmato di lì a breve. Ma l’accordo salta e l’acquisizione tedesca di conseguenza non va in porto, quindi Richie decide di provare a risollevare i profitti dell’azienda ingaggiando in primo luogo i Nasty Bits, band di giovani scoperta dall’intraprendente segretaria Jaime Vine, che poi inizierà una relazione con il loro frontman Kip Stevens (interpretato da James Jagger, figlio di Mick). Successivamente Richie tenta di promuovere la compagnia via radio, chiedendo l’aiuto di Buck Rogers, un potente del settore, che durante un incontro in casa sua si fa violento a causa dell’abuso di cocaina costringendo Richie e Joe Cole, pubblicitario che perorava la causa della compagnia discografica di questi, a ucciderlo.
Nel frattanto però sorgono altre complicazioni, come la riottosità dei Nasty Bits, talentuosi ma immaturi, e si fanno vive vecchie conoscenze dal passato di Richie, come Lester Grimes e Maury Gold. Gold è un produttore discografico d’enorme successo, legato al mafioso Corrado Galasso. Anni addietro, Richie lavorava come barista e notò il talento di Grimes; così, fattoselo amico, lo propose a Gold come artista, con l’intento di fargli da manager. Il produttore però voleva cambiarne l’immagine e lo stile, così i due tentarono di aprire una loro compagnia discografica, sogno che verrà stroncato sul nascere da Gold che mandò gli uomini di Galasso a spezzare la trachea a Grimes, che biasimerà Richie per averlo abbandonato subito dopo. Ora Grimes convince i Nasty Bits ad assumerlo come manager, con lo scopo di infastidire Richie, che puntava a giocare sull’ingenuità e l’inesperienza della giovane band per frodarli su compensi incrementando così i profitti della compagnia, mentre Gold scivola verso affari sempre più illeciti.
Inoltre tutto lo stress che si accumula su Richie lo porta in primis a compromettere il rapporto con la moglie, ex della Warhol’s Factory (che ora ritorna a tendere verso quello stile di vita naïf e anticonformista), e in seguito a ritornare a fare uso smodato di cocaina.
La serie
Come facilmente intuibile, in Vinyl si presentano più storyline di svariato tipo, da quella investigativa (l’omicidio è alla fine del pilot) a quella che tenta di cogliere lo spirito del tempo (alla Mad Men per intenderci). Il tutto si sviluppa con un ritmo lento ma nel complesso adeguato allo stile corale: Richie è il protagonista ma il suo ruolo effettivo è quello di punto nevralgico che unisce tutti i fili rossi della narrazione.
Ma non è per la caratterizzazione dei personaggi che Vinyl brilla: l’elemento che più la contraddistingue è il comparto tecnico. Anche tralasciando l’episodio pilota diretto da un mostro sacro del cinema come Scorsese, il livello dei restanti nove episodi è altissimo tecnicamente parlando. I movimenti di macchina sono pregevoli, i piani sequenza abbondano e non sono ma fini a se stessi e c’è una sapiente gestione degli attori. Inoltre anche le caratterizzazione dei personaggi, lasciata poco fa in ombra, non è da sottovalutare: il dramma personale di ognuno di essi è raccontato alla perfezione e senza particolari stucchevoli. La gestione di un così ampio cast in maniera equilibrata e soprattutto egualitaria non è affatto cosa semplice, ma Vinyl in questo riesce benissimo.
Tuttavia in Vinyl v’è un aspetto decisamente carente, ovvero quello narrativo. Spiegandoci meglio, si può dire che in Vinyl la forma e l’estetica sono gestite alla perfezione, ma manca il vero contenuto. La TV ha una sola cosa che il cinema non può fare sua, ovvero la durata complessiva e la capacità di narrare storie dal minutaggio più vasto, cosa che permette al pubblico di sviluppare un attaccamento emotivo. Nella nuova serie HBO non abbiamo nulla di tutto ciò, perché Vinyl si configura un prodotto ben costruito ma sterile. In sostanza, lo scopo di una serie TV è quello di raccontare una storia, ma in Vinyl abbiamo solo il tentativo di “fare una bella serie”: effettivamente è di qualità, ma non ha nessuna storia da raccontare.
Negli ultimi anni abbiamo visto la TV cambiare, evolversi verso territori più “cinematografici”, più formalmente e tecnicamente interessanti. Non è più il tempo degli intrecci senza sosta alla Prison break dove regia e montaggio erano completamente al servizio della storia, bensì con prodotti AMC (Breaking bad in primo luogo) abbiamo visto coadiuvarsi aspetto narrativo e tecnico in maniera eccellente, e con l’arrivo di Netflix il tutto si è radicalizzato, con il tentativo di dare nuova dignità alla serie TV anche grazie alla tecnica (si vedano come esempi Orange di the new blacko Daredevil). Vinyl è un’evoluzione di questo fenomeno ma nella direzione sbagliata, perché è costituita da episodi dall’importante “valore riflessivo” ma senza sostanza, senza contenuti.
Nel complesso poi, in TV non è raro un episodio “di pausa”. Si tratta di un episodio particolare in cui la narrazione procede molto poco o s’arresta completamente per lasciare posto ad analisi dei personaggi o importanti riflessioni degli stessi. In Vinyl è tutto strutturato come se fosse una serie di dieci episodi di questo tipo, pretenziosi ma senza nulla da raccontare, con la vuota promessa di una narrazione principale che stia finalmente per iniziare.
Non ci sarà una seconda stagione
Dopo la messa in onda di un finale di stagione che tutto sommato risolve tutte le linee narrative aprendo allo show una strada dal retroterra più investigativo con un ritmo più serrato, in produzione sono state prese una serie di decisioni. Dopo i primi tre episodi le aspettative della HBO sono state amaramente deluse perché i rating sono sempre calati, scendendo nel giro di un paio di settimane da più di un milione a circa mezzo, per risalire e assestarsi negli ultimi episodi a circa 600-700mila. Ma visti il budget e le ambizioni della serie, anche il rating più alto registrato non può considerarsi un successo. Per questo motivo Terence Winter è stato licenziato e lo showrunner che avrebbe dovuto rimpiazzarlo sarebbe stato Scott Z. Burns, al suo esordio in televisione. Non che i numeri in TV siano tutto ovviamente, tutt’altro, però è riscontrabile negli ultimi anni la volontà da parte della HBO di produrre meno serie ma con rating più alti.
Nel complesso la prima stagione di Vinyl ha mostrato qualche potenziale che è stata soffocato dalla pretenziosità e dalla mancanza di contenuti. La cancellazione di fatto è avvenuta perché la HBO non può permettersi passi falsi, ora che piattaforme come Netflix stanno apertamente sfidando i canali via cavo.