In sala fino a ieri, a chiudere la prima tranche del ciclo Anime al Cinema proposto da Dynit e Nexo Digital è stato Voglio mangiare il tuo pancreas (2018), opera prima di Shinichirō Ushijima tratta dal bestseller di Yoru Sumino che si configura come il prodotto più commerciale di questa stagione ma probabilmente anche come il meglio riuscito, considerati gli obiettivi che si pone.

In ospedale per una visita di routine, il liceale Haruki – gli presta la voce l’attore Mahiro Takasugi – trova per caso il diario della compagna di classe Sakura – la doppiatrice Lynn –, in cui questa confessa la letale malattia al pancreas che la affligge. Tornata indietro per cercare il diario, Sakura lo coglie sul fatto pregandolo di non rivelare la cosa a nessuno: tra i due si instaura così un legame, con lei che cercherà di far uscire lui dal guscio rendendolo protagonista dei suoi ultimi mesi di vita. Tra alti e bassi la loro amicizia si rafforza, ma il destino ha in serbo un epilogo ancora più tragico di quello preventivato.

Voglio mangiare il tuo pancreas

Secondo la prassi dell’industria dell’intrattenimento nipponica, non c’è due senza tre e dopo il manga (2016) e il live action (2017) era solo questione di tempo prima che dal romanzo originale si arrivasse al film o serie d’animazione. D’altronde gli elementi per un successo su vasta scala – a maggior ragione in un Paese che sta (ri)scoprendo la giappomania come il nostro – c’erano tutti: ciliegi in fiore sullo sfondo e in primo piano un amore (?) tardoadolescenziale su cui pende una spada di Damocle, dove le uniformi scolastiche – con il fanservice che ne consegue, e infatti Ushijima sulle inquadrature “birichine” non lesina – si sposano nella versione animata con un chara design anonimo quanto basta per collocare il prodotto nella sua nicchia, con tanto di opening musicata – il brano è dei Sumika, mentre per il resto la colonna sonora è a cura di Hiroko Sebu – e scena bonus dopo i titoli di coda.

voglio mangiare il tuo pancreas
Frontespizio del manga

Fatto sta però che, confezione a parte, Voglio mangiare il tuo pancreas si prende un impegno non da poco: parlare della morte (annunciata) di una giovane donna e del suo modo di esorcizzarla. Sakura ha sentito in un documentario che gli antichi credevano di potersi curare cibandosi del corrispettivo organo, così dice all’amico di volergli mangiare il pancreas: con questa battuta per la prima volta la ragazza rompe il muro del silenzio, dando forma con la parola alla paura di morire che fino ad allora aveva relegato nella pagina scritta. E come già ci aveva insegnato Me and Earl and the Dying Girl (2015), un buon modo per affrontare questa paura è mandarsi cordialmente a quel paese: Sakura si affeziona a Haruki perché lui è l’unico a offrirle «l’equilibrio tra verità e quotidianità», in quanto pur sapendo quanto stia soffrendo – e gli altri a saperlo sono solo i suoi genitori – continua a trattarla come una persona qualsiasi della sua età, permettendosi scherzi pesanti e critiche.

Haruki dal canto suo non è il classico hikikomori: il suo isolarsi deriva semplicemente dalla consapevolezza che i libri sono più interessanti delle persone, e che un’esistenza a impatto zero – io non ricevo alcun danno né beneficio dagli altri e viceversa – è la soluzione più logica. Non sorprende quindi che un personaggio imbevuto di categorie letterarie come lui si senta attratto da una figura romanzesca come Sakura, la cui tragica condanna a morte sottintende di per sé una categoria letteraria.

Voglio-mangiare-il-tuo-pancreas-coverPiù di altre trasposizioni anime, Voglio mangiare il tuo pancreas rimane fedele al medium di partenza nella caratterizzazione dei protagonisti, senza paura di sforare i tempi del cinema – e in effetti in quasi due ore qualche volta si sbadiglia – per motivarne l’evoluzione secondo i crismi. Un segnale molto eloquente in questa direzione ce lo dà proprio Haruki, che sta leggendo il romanzo per eccellenza della letteratura giapponese moderna, Kokoro (1914) di Natsume Sōseki – come si vede chiaramente dalla prima di copertina quando un’amica di Sakura glielo scaraventa giù dal balcone –, cui la storia di Sumino è debitrice: c’è la narrazione retrospettiva, c’è il contrasto tra una morte attesa e una morte inaspettata, c’è la lettera postuma di Sakura, c’è il narratore anonimo – fin quasi alla fine del film non conosciamo il nome di Haruki – che si riferisce a se stesso chiamandosi semplicemente boku (Io).

Quello che non c’è semmai è il chiudersi di ogni spiraglio, visto che il testamento dell’amica infonde in Haruki nuova forza per tornare a vivere, e vivere meglio di prima interfacciandosi con gli altri: un “lieto fine” indispensabile per consolare lo spettatore dopo il cupissimo colpo di scena.Voglio mangiare il tuo pancreasPer Shinichirō Ushijima, che del suo esordio ha curato anche la sceneggiatura, si può quindi parlare di promozione a pieni voti, e non era così scontato: da un lato c’era una fan base ben consolidata che si era già fatta un’idea di quello che voleva vedere, dall’altro la tentazione di cavalcare l’onda della stucchevolezza shinkaiana rinunciando a qualsiasi pretesa originale, ma entrambi gli ostacoli sono stati evitati. Ci sono beninteso delle sviste sul piano strettamente tecnico: qualche errore di prospettiva – occhio alle scene al Café Spring – e una certa frettolosità nel costruire la scala dei piani – quando i due sono a mangiare carne alla griglia e poi nel finale, durante la visita di Haruki a casa della defunta –, e trattandosi di un film fatto principalmente di dialoghi è difficile non farci caso.

Non che Voglio mangiare il tuo pancreas spicchi poi così tanto nel panorama delle produzioni mainstream in arrivo dal Sol Levante, ma il vecchio adagio del mono no aware, la malinconia dinanzi al rapido sfiorire della bellezza di cui il ciliegiosakura, appunto – è emblema, funziona e a tratti riesce pure a commuovere. Prossimamente ci piacerebbe rivedere Ushijima sul grande schermo, magari con una storia tutta sua.