A correre per la Germania nel Concorso Internazionale di quest’anno è Wintermärchen, secondo lungometraggio cinematografico di Jan Bonny che getta uno sguardo crudo sulla cronaca recente del Paese, sfidando le convenzioni – e spesso anche il buon gusto – per mettere a nudo la banalità del male che, negli ultimi tempi, sembra essere tornato a esercitare il suo fascino sulla gioventù tedesca.
Intrappolati nelle maglie di un rapporto morboso e violento, Becky – Ricarda Seifrid –, Tommi – Thomas Schubert – e Maik – Jean-Luc Bubert – costituiscono insieme una piccola cellula terroristica di matrice nazista, che di quando in quando conduce spedizioni punitive ai danni della comunità musulmana. Dopo il primo blitz andato a segno i tre si sentono al settimo cielo ma non ottengono la notorietà sperata, finendo per mettere in crisi il proprio sodalizio.
Muovendo oltre l’asetticità della descrizione giornalistica, Wintermärchen si confronta con la vicenda della NSU (Nationalsozialistischer Untergrund), il gruppo di estrema destra responsabile, tra il 2001 e il 2007, di svariati omicidi, rapine e attacchi dinamitardi. Invece di descrivere ciò che più ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, Bonny mette al centro della sua opera – che è comunque una drammatizzazione, con le licenze che ciò comporta – le dinamiche del trio, offrendo un ritratto dei criminali disarmante nella sua semplicità. Non ci sono motivazioni politiche né ideali alla base delle loro azioni: animati da una xenofobia e da un patriottismo qualunquisti, il vero brivido sta nella sensazione di onnipotenza che usare un’arma da fuoco contro un innocente procura.
Becky, Tommi, Maik, a loro modo sono tutti frustrati, in primo luogo sul piano sessuale. Il loro non è infatti un rapporto professionale, ma un triangolo in cui il sesso è utilizzato come deterrente e moneta di scambio. Il regista non fa mistero di questo e anzi si compiace di esibirlo, configurando Wintermärchen come un film sensazionalista che fa passare in secondo piano l’operazione intellettuale.
Stupri, impotenza, onanismo, sodomia sono una presenza costante e ingombrante, che ottiene l’effetto – crediamo indesiderato – di rendere la visione un’esperienza di intrattenimento gladiatoresco all’insegna della scopofilia. È un tentativo di épater le bourgeois che non scuote e indigna, ma lascia anzi sprofondati nella propria poltrona come davanti a un prodotto di exploitation di cui si possono predire con agio gli esiti.
Il revival fascista dell’Europa è un fenomeno che il mondo della cultura si è preoccupato di ammonire, ma che per quanto riguarda il cinema ancora non è stato inquadrato con la dovuta serietà. Non diversamente da quanto visto in Oltre la notte (2017) di Fatih Akin, il film di Bonny riesce a riprodurre in maniera convincente la sordida realtà dei protagonisti ma non ad allargare il campo della riflessione alla società tedesca, alla sua indifferenza – o connivenza? – rispetto a queste epifanie destrorse del malcontento popolare.
Benché astenendosi con intelligenza dal formulare giudizi, Wintermärchen non è quel pugno nello stomaco che ci aspettavamo dal titolo – riferimento al caustico Racconto d’inverno di Heine –, ma un teatrino delle sensazioni in cui ci si può concedere il lusso di dimenticare la realtà per un paio d’ore.