Dopo aver diretto i tre Spider-Man con Tom Holland, Jon Watts torna “con i piedi per terra”, lascia supereroi e multiverso e porta fuori concorso a Venezia 81 Wolfs – Lupi solitari, una commedia d’azione di natura dichiaratamente pop con protagoniste due tra le star hollywoodiane per eccellenza, George Clooney e Brad Pitt, entrambi coinvolti anche come produttori – insieme ad Apple Studios – rispettivamente con Smokehouse Pictures e Plan B.

Un fixer (Clooney) – un professionista che di mestiere risolve problemi e fa sparire le tracce di crimini particolarmente delicati e compromettenti – viene chiamato per togliere dai guai una figura di altissimo profilo dell’élite newyorchese. Abituato ad agire da solo, si ritrova suo malgrado a dover lavorare fianco a fianco con un altro fixer (Pitt) intervenuto sulla scena del crimine. I due lupi solitari collaborano nel corso di una lunghissima notte che prende pieghe inaspettate per entrambi.

Cosa succede quando due lupi solitari – figure classiche nella storia del cinema noir, thriller e d’azione – sono costretti a lavorare insieme? Partendo da questo spunto e da una fascinazione per questo tipo di cinema di genere, Jon Watts confeziona un’ottima commedia d’azione, facendo la miglior scelta di casting possibile e sfruttando al massimo il talento e l’alchimia tra i due attori protagonisti, irresistibile nelle dinamiche di scontro tra i due personaggi. Il ritmo è sostenuto, la colonna sonora deliziosamente sintonizzata sulle intenzioni del film, i dialoghi sono incalzanti, con scambi serrati impreziositi da un’ironia frutto di una scrittura brillante che risulta cesellata attorno alle corde interpretative di Clooney e Pitt.

Wolfs ha tutto quello che si può chiedere e volere da un film di questo tipo, senza troppe pretese e con l’intento manifesto di intrattenere, cui non sarebbe guastato essere alleggerito in alcuni passaggi ma che gioca benissimo le proprie carte e sa esattamente quali corde toccare e dove andare a parare. La regia, elegante e puntuale, sa che deve puntare tutto sui protagonisti (che spesso si affidano solo a reciproci sguardi, gesti e smorfie) e il racconto dell’evoluzione dei due fixer, che porta a un finale riuscitissimo e a tratti quasi “filosofico”, è un ulteriore valore aggiunto.