In occasione della Biennale Danza 2015, la città di Venezia è stata palcoscenico di narrazioni corporee e gestuali di grande impatto emotivo. I più ameni e nascosti campi della città sono stati trasformati in accoglienti e luminosi teatri, in cui un pubblico itinerante ha potuto assistere a singolari e interessanti performance di danza contemporanea. Il paesaggio cittadino, con i suoi ponti, le sue acque verdi, le imbarcazioni, lo squero, le facciate di palazzi e chiese si è fuso con i corpi delle figure danzanti rendendo lo spazio un luogo dove abitare e convivere con gli altri in modo rispettabile.
Lo studio del corpo, delle sue forme e molteplici rivelazioni gestuali ed espressive, inserito in un contesto suggestivo qual è lo squero di San Trovaso, ha dato vita a una danza intesa come libera espressione del corpo, che cerca di immergersi nel luogo in cui temporaneamente abita. Annamaria Ajmone, coreografa nonché interprete, sperimenta negli spazi dello squero nuovi percorsi e passaggi fino a diventare parte integrante di un dimora atavica (Būan), uno spazio temporale antico e suggestivo. In contrapposizione al dinamismo della vita odierna, occupa ritmicamente lo spazio per farne una dimora rigenerante, come se il corpo potesse sostare, riposare e rimettersi in sesto per irrompere nel mondo rinvigorito e fortificato.
Claudia Castellucci ha proposto nel campo Sant’Agnese Esercitazioni ritmiche, di cui gli elementi qualificanti e importanti sono l’azione e la sua durata. Ogni azione o gesto corrisponde ad una battuta musicale, niente di più semplice. La danza inizia con un ritmo circolare ordinato che ha lo scopo di indicare la continuità del movimento e che in alcuni istanti si spezza casualmente generando altri movimenti, non spontanei ma tempestivi. L’azione è assoluta, l’unico pensiero a cui gli interpreti sottostanno. Ne consegue che la durata dell’azione serve a vivere a pieno il movimento che così viene percepito dallo spettatore: un movimento antecedente, già esistente, che nel passaggio da una posizione all’altra diventa presenza continua nel tempo che sembra dilatarsi.
Nell’ampio spazio del campo San Trovaso ha avuto luogo l’interpretazione di Nous serons tous des étrangers del coreografo franco-tunisino Radhouane El Meddeb sulle note del Bolero di Ravel. Sei ballerini interpretano la parte dello straniero nella società attuale evidenziando l’intolleranza e l’odio verso l’altro perché diverso, estraneo. E’ una drammatica coincidenza che lo spettacolo abbia avuto luogo il giorno dell’attentato nella spiaggia di Sousse, in Tunisia in cui hanno perso la vita molti turisti considerati stranieri.
Ancora una volta l’espressione artistica, in questo caso la danza, getta un ponte tra le culture e indica, con il proprio linguaggio evocativo ed empatico, vie da percorrere, di unione e di amicizia: la danza si fa interprete, attraverso la gestualità e l’espressività del corpo, di una realtà fatta di soprusi, violenza e barbarie, ma essa è anche bellezza, libertà, apertura verso l’altro. L’abbraccio con cui si conclude la coreografia è uno slancio di speranza.