“Hai shang cheng shi (The fragile house)” di Lin Zi

Demolire sulla roccia, costruire sulla sabbia

Hai shang cheng shi (The fragile house)

Vincitore del Signs of Life Award all’interno dell’omonima sezione dedicata a «l’indagine dei territori di frontiera della settima arte tra forme narrative inedite e innovazione del linguaggio cinematografico», Hai shang cheng shi (The fragile house) di Lin Zi – al secolo Lin LiuLiu – è un esordio tanto estroso nelle scelte formali quanto condiscente verso la retorica tradizionalista.

La vigilia di Capodanno Huang CuiNa irrompe in casa della sorella CuiYing, reclamando i soldi che questa le deve: la situazione degenera e per farle alzare i tacchi viene chiamata la polizia, sicché l’intera famiglia trascorre la serata in centrale. Qualche tempo dopo CuiYing racimola la somma per ripagare il debito, ma preferisce investirla in un progetto edilizio: l’equilibrio del gruppo ormai è turbato, e nelle occasioni di ritrovo – il compleanno della madre ottantenne, il compimento del primo mese del nipotino – l’astio è palpabile. A ciò si aggiungono le tribolazioni del figlio di CuiYing, ChaoChao, per il quale la scuola è diventata una tortura.

Hai shang cheng shi (The fragile house) 3

Intreccio complesso quello di Hai shang cheng shi, di cui la sinossi costituisce una possibile ricostruzione: unico punto fermo è CuiYing, che per brama di affermazione personale finisce per compromettere, per mezzo – e non per fine – del denaro, tutto il sistema. È l’ennesima miniatura del crollo del vecchio mondo, ma è lo sguardo adottato da Lin a porre il suo esordio un gradino più in alto rispetto alla norma: i margini superiore e inferiore dell’inquadratura sono velati dall’oscurità, come se si stesse osservando la scena con gli occhi semichiusi, in uno stato di dormiveglia.

Questa la sensazione che il regista ha dichiarato di voler suscitare: l’oggettività del punto di vista del sognatore, che è in grado di percepire contemporaneamente in prima e in terza persona l’incombere delle tenebre su se stesso e sugli altri inquilini del sogno. Ogni inquadratura di Hai shang cheng shi è un guardare attraverso, con l’occhio della cinepresa collocato al di qua di una feritoia, a volte fittizia, a volte estremamente concreta – per esempio gli occhi di un personaggio in soggettiva –, che minaccia di chiudersi da un momento all’altro. Le oscillazioni riguardano non solo l’apertura di questo spiraglio ma anche la gamma cromatica, che arriva a esaurirsi nel bianco e nero nel momento in cui anche l’ultimo legame tra i familiari è stato reciso.

Hai shang cheng shi (The fragile house) 2

CuiYing incarna, in sintesi, la generazione responsabile della frattura tra un passato rurale e monolitico e un presente urbano e cangiante. La meccanizzazione dei rapporti umani e la cementificazione del paesaggio sono il cancro diagnosticato da Lin, per il quale è proposto un antidoto obsoleto che stona con la visionarietà dimostrata nell’utilizzo del mezzo: i principi confuciani – mai veramente estinti e anzi innestatisi nell’ideologia maoista – del gruppo prima del singolo, della risoluzione pacifica delle controversie; il ritorno alla terra – vagheggiato a ChaoChao da suo padre contemplando l’incolto campo di famiglia; la riappropriazione del rituale come momento reiterato e sacro, svilito dalla sovrimpressione delle immagini dei ragazzini che accendono petardi sul sito della tomba degli antenati. Il caro vecchio «si stava meglio quando si stava peggio».

Come in Jiao qu de niao, il giovane autore di Hai shang cheng shi sembra non avere una posizione chiara in merito al retaggio della sua nazione, né tantomeno, sul piano identitario, un rapporto armonioso con esso. Questo l’unico ambito in cui Lin Zi deve ancora maturare.