Sicuramente il più dirompente tra tutti il lungometraggi in concorso al Torino Film Festival 2022, questo film si presta a varie interpretazioni, ma certo quella più impressionante è la fatale premonizione e la sorprendente, grandiosa metafora della situazione dell’Ucraina di oggi, espressa attraverso un gioco caravaggesco di luci e ombre.
La vicenda si svolge in un assai povero villaggio dell’Ucraina occidentale, nei giorni del Carnevale, qui intorno alla metà di gennaio. Protagonista è Leonid, soprannominato “Pamfir” (Oleksandr Yatsentyuk) che torna al suo paese e alla sua famiglia dopo una lunga emigrazione in Polonia.

Ma nel villaggio regnano corruzione e miseria, ben alimentate da un brutale “boss” locale, cui tutti sono obbligati a piegarsi. Metafora evidente. Tutti tranne Pafmir, che si batte da solo contro decine di sgherri. Altra metafora dell’aggressione dei tanti contro i pochi. Pamfir lotta disperatamente, aiutandosi con un potente e pericoloso stimolante. Metafora forse delle armi che arrivano dall’Occidente.

Raccomanda poi a Nazar (Stanislav Potiak), il figlio adolescente, di studiare, di diventare una persona rispettabile e di essere sempre libero. Nazar rappresenta il futuro di tutto un Paese dove: “la libertà – dichiara il regista – è più importante della vita”. Pamfir – Leonid indica al figlio la via verso la libertà, ossia verso l’Occidente: ma quella via passa attraverso una galleria molto lunga e strettissima. Altra metafora più che evidente.

Questa a grandi linee la trama, ma attorno a questi elementi ci sono innumerevoli dettagli che danno alla storia una robusta sostanza e un preciso carattere. C’è per esempio il rituale carnevalesco, con la sua carica di ritualità magica e belluina, oltre che bellicosa e di sfogo delle pulsioni più violente. C’è il segno di un patriarcato, espressione di prepotenza senza potenza, sbriciolato da donne coraggiose e determinate, abituate ad avere i mariti in emigrazione e ad essere sole ad occuparsi di tutto. C’è anche la Chiesa con le sue prediche di un cristianesimo consolatorio a parole ma asservita al potente di turno.

“Pamfir, nome da epica, nome di una pietra semi-preziosa, è una sorta di Amleto che si cela in ogni uomo – spiega il regista. Infatti è l’uomo diviso tra l’amore per la sua famiglia e la necessità di essere lontano a lavorare per costruire un futuro migliore. Anche l’amore ha un prezzo che va pagato”. “Questo film – prosegue – in Ucraina è stato proiettato solo due volte, perché sotto i bombardamenti i cinema sono luoghi insicuri. Ma quelle due volte, affollatissime, lo hanno reso già un film storico: da otto anni infatti noi abbiamo la guerra.”

La prima distribuzione in Italia dovrebbe avvenire nel gennaio 2023, contestualmente a quella in Ucraina.

Pamfir (presentato anche alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2022) è il primo lungometraggio del regista ucraino Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk (classe 1983). La lavorazione del film iniziò nel 2016, anno nel quale per la prima volta il regista giunse a Torino, quale partecipante al Torino Film Lab, e ricorda: “Il titolo di allora era “Story about a very good family in the darkness” (Storia di un’ottima famiglia nel buio) e oggi questo titolo, fuor di metafora, è tanto più realistico, in quanto quasi tutte le famiglie in Ucraina sono al buio e al freddo a causa dei bombardamenti.” “Un proverbio ucraino – conclude – dice che il momento più buio è quello prima dell’alba, prima della nostra vittoria.”
Una vittoria che arriva a questo film con il PREMIO ACHILLE VALDATA assegnato dalla Giuria dei lettori di “Torinosette”.